CRT Milano. Fino al 15 febbraio 2015
«Sono come voi. Uguale», scandisce la donna.
L’ingresso degli spettatori la sorprende già in scena, mentre riordina ritagli di giornale. Sembravicinissima, ma è irraggiungibile: si rivolge direttamente al pubblico, da cui la separa un velo ditulle, impalpabile e impenetrabile.
La protagonista di Figli senza volto è anonima, come lo spazio in cui si muove, in cui pochi oggetticomuni (un giradischi, un piccolo televisore) evocano gli anni Settanta. É anonima, perché è il simbolo di tutti gli uomini e le donne che in quel periodo hanno abbracciato la lotta armata. É
Con Figli senza volto, Animanera Teatro racconta il terrorismo brigatista da una prospettiva inedita.
Il monologo, per la regia di Aldo Cassano e interpretato dalla bravissima Natascia Curci, è tratto da "Come voi", racconto di Ida Faré, ex giornalista de «Il Manifesto», contenuto nel volume Il pozzo segreto. Cinquanta scrittrici italiane, (ed. Giunti). Presentato in anteprima durante la scorsa
stagione, lo spettacolo, in scena fino al 15 febbraio, torna in versione integrale al CRT di Milano.
Il monologo non fa sconti nel condannare la violenza del terrorismo, ma rappresenta anche l’angoscia di una scelta estrema e non risparmia a j’accuse all’Italia di allora, alla società del benessere che ha cresciuto ed educato quei figli che poi le si sono rivoltati contro. Figli e figlie entrati nella clandestinità, che non hanno più un volto, che non sono più uomini né donne, ma solo incarnazione della lotta. Figli e figlie che riacquistano una fisionomia solo quando le loro facce emergono dalle pagine dei giornali, quando sono braccati, inseguiti e uccisi, dopo aver a loro volta
braccato, inseguito e ucciso.
«Ho seguito il filo della ribellione pura, l’acqua della vita. Sono state le vostre mani a intorbidirla di morte, ma eravate più forti e ho dovuto raccogliere le armi che mi avete consegnato. Sono diventata come voi. Ho bevuto l’acqua della ribellione amara», denuncia la donna senza volto e senza nome.
Dietro i suoi gesti quotidiani, dietro la facciata di normalità che lei e il suo uomo fingono, si celano la tensione, le riunioni segrete con i “compagni”, la paura di essere scoperti, l’alienante perdita di identità. E si cela anche la frustrazione di donne a cui l’opinione pubblica non riconosce una scelta
individuale e consapevole, anche se estrema, e che dipinge prevalentemente come succubi dei loro
uomini, plagiate dal controllo maschile.
Il testo è intenso, teso, serrato, scandito da filmati di repertorio proiettati sul velo di tulle. Un velo che chiude e isola lo spazio scenico, simboleggiando il paradosso di una donna che aspirava alla libertà e che si ritrova prigioniera dell’anonimato, in uno squallido appartamento di periferia.
Figli senza volto fa riflettere su un periodo della storia italiana di cui si parla poco, aggiunge sfumature ai giudizi unilaterali con cui abitualmente viene liquidato il fenomeno delle Brigate
Rosse. Ma uscendo dalla sala, si è portati a interrogarsi anche sul presente, sul terrorismo, di matrice islamica che ha investito le società occidentali con violenza devastante. Pensando ai volti cancellati dal burqa delle terroriste, ai volti di uomini, talvolta cresciuti e vissuti accanto a noi, che fissano l’obiettivo di una telecamera mentre decapitano un ostaggio, emergono domande inquietanti: chi ha armato la loro mano? Chi sono? E se fossero come noi?
Greta Salvi
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