Roma,
Teatro Quirino (via delle Vergini) Dal 24 febbraio al 15 marzo 2015
La
geniale lucidità di Pirandello, capace di capolavori ormai centenari
ma che, nella loro sostanza, nel loro significato più profondo, sono
di un’attualità sconcertante. La rappresentazione de L’uomo,
la bestia e la virtù, in scena al Teatro Quirino di Roma fino al
15 marzo, è l’ennesima occasione per poter godere di tanta,
caustica, drammaturgia. Questa commedia scritta nel 1919 (!), tratta
dalla novella Richiamo all’obbligo (1906), negli insoliti
toni farseschi e quasi grotteschi per l’autore agrigentino, è in
realtà uno spietato sguardo verso l’ipocrisia borghese (soltanto?)
e codina, un colpo feroce alla logica delle maschere umane tanto care
alla sua penna. La storia è nota: Paolino (Geppi Gleijeses),
rispettabile professore, ha una relazione con la signora Perella
(Marianella Bargilli), moglie trascurata dal terribile Capitano di
Marina Francesco Perella (Lello Arena). Il frutto indesiderato di
questa tresca è un figlio in arrivo che, nel piano del professore,
dovrà apparire come proprietà del marito di lei. Da qui comincia
una patetica corsa contro il tempo per far si che il Capitano,
nell’unica notte in casa, di passaggio per poi ripartire
l’indomani, sia risvegliato nei suoi istinti sessuali ormai sopiti
verso la consorte.
Il finale sarà inaspettato, amarissimo e cinico. Una satira solo apparentemente scollacciata, che non fu accolta benissimo al suo esordio, ma che invece fa brandelli del velo perbenista di quella borghesia di inizio novecento e che, ancora oggi, può tranquillamente estendersi all’intera categoria umana. Se possono apparire datati i personaggi disegnati (ad inizio novecento, ricordiamolo sempre!), modernissima è l’analisi tragica dell’essere umano, appena addolcita dai toni umoristici del testo. Che, innegabilmente, si presta a più chiavi di lettura.
Il finale sarà inaspettato, amarissimo e cinico. Una satira solo apparentemente scollacciata, che non fu accolta benissimo al suo esordio, ma che invece fa brandelli del velo perbenista di quella borghesia di inizio novecento e che, ancora oggi, può tranquillamente estendersi all’intera categoria umana. Se possono apparire datati i personaggi disegnati (ad inizio novecento, ricordiamolo sempre!), modernissima è l’analisi tragica dell’essere umano, appena addolcita dai toni umoristici del testo. Che, innegabilmente, si presta a più chiavi di lettura.
La
versione messa in scena per la regia di Giuseppe Di Pasquale si serve
di una scenografia (di Paolo Calafiore) che tende decisamente al
moderno, elegante, ma con un impatto freddo a dir la verità, e lo
spettacolo non ha forse il giusto ritmo, apparendo in alcuni
frangenti piuttosto noioso. Belli i costumi (Adele
Bargilli), con la spiritosa “trasparenza” del professor Paolino
“uomo di coscienza”, l’aspetto ferino del Capitano, la bestia,
e le sembianze angelicate della “virtuosa” signora Perella.
La
grottesca ipocrisia della realtà, un faro sull’aspetto farsesco
delle passioni, presunte moralità e virtù prostituite per non
sconvolgere il comune senso del pudore, contrapposizione tra l’idea
di donna e quella di moglie, perdita di dignità mascherata da
perbenismo. L’uomo, la bestia e la virtù è la prova di
come, a distanza di un secolo, si possa parlare ancora oggi al
pubblico con le parole di Pirandello. Ma lui era un genio. E’
l’uomo a non essere, di fondo, molto cambiato da allora e non ne
esce bene.
Paolo
Leone
Gitiesse
Artisti Riuniti e Teatro Stabile di Catania presentano: “L’uomo,
la bestia e la virtù” di Luigi Pirandello. Regia di Giuseppe Di
Pasquale.
Interpreti:
il trasparente signor Paolino: Geppi Gleijeses; Capitano Perella:
Lello Arena; la virtuosa signora Perella: Marianella Bargilli; Dott.
Nino Pulejo/Signor Totò: Mimmo Mignemi; Rosaria/Grazia: Renata
Zamengo; Nonò figlio dei Perella: Vincenzo Leto.
Costumi
di Adele Bargilli; Scene di Paolo Calafiore; Musiche di Mario
Incudine; Luci di Luigi Ascione.
Si
ringrazia l’ufficio stampa del Teatro Quirino nella persona di
Paola Rotunno.
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