Tornato in piena attività dopo una “pausa di riflessione”, il Cinema Eden di Arezzo, imprescindibile -e unico- punto di riferimento per gli aretini amanti del cinema d’autore, ha portato a termine la prima rassegna infrasettimanale del nuovo corso, dal titolo “Scusate il ritardo”, che cita l’omonimo film di Massimo Troisi del 1982. Questa scelta ha una valenza duplice: da un lato esprime con ironia sdrammatizzante il rammarico per la momentanea assenza “dalle scene” dell’Eden; dall’altro, riallacciandosi proprio al primo punto, chiarisce lo scopo principale di questo ciclo, che è quello di proporre al pubblico alcuni tra i più importanti film d’essai usciti nei mesi scorsi, cioè durante il periodo di chiusura del cinema. Tanto per farvi avere un’idea, sono state recuperate opere come l’edizione restaurata di Barry Lyndon di Kubrick (tornato nelle sale per la rassegna “Il cinema ritrovato”, di cui ci siamo già occupati), Due giorni, una notte dei fratelli belgi Dardenne e, per quanto riguarda il cinema nostrano, Torneranno i prati del grande vecchio Ermanno Olmi, l’osannato Le meraviglie di Alice Rohrwacher (che a me non è piaciuto) e Il giovane favoloso (un ottimo film, come ho scritto a suo tempo nella recensione apposita) di Mario Martone. Quest’ultimo, per l’occasione (lo scorso giovedì 12 marzo), è stato invitato all’incontro pomeridiano che ha preceduto la proiezione del film, un evento che ha permesso agli organizzatori di aggiungere un’altra perla alla già preziosa collana degli ospiti illustri che negli anni sono venuti a fare una visita da queste parti (ricordo, tra gli altri, Marco Bellocchio e Nanni Moretti): una piacevole consuetudine targata 100% Cinema Eden.
Il delicato compito di chiudere in bellezza la rassegna “Scusate il ritardo” è toccato a quello che è forse il film più squinternato degli ultimi tempi: Frank, del regista Lenny Abrahamson, basato su un articolo di Jon Ronson, che qui partecipa in veste di co-sceneggiatore.
La storia è ambientata nella verde Irlanda. Jon, giovane e tranquillo impiegato, sogna di diventare musicista e perciò, appena torna dal lavoro, si barrica nello studio (la sua camera) a comporre improbabili canzoncine per voce e tastiera, che sottopone assiduamente al giudizio dei suoi followers in internet. L’occasione che aspetta da tempo si materializza per caso: un giorno, mentre passeggia lungo il mare, assiste al tumultuoso tentativo di salvataggio, da parte della polizia, di uno scalmanato che, in preda al delirio, si è gettato in acqua: è il tastierista del gruppo musicale Soronpfrbs (sì, il nome è proprio questo!) che, quella stessa sera, dovrebbe esibirsi in un pub locale. Data l’indisponibilità del musicista, portato in ospedale per una lavanda gastrica, Jon coglie la palla al balzo e si propone come sostituto, ottenendo su due piedi un ingaggio dalla band, senza nemmeno un provino. I Soronpfrbs suonano un guazzabuglio tra post rock, avanguardia elettronica e rumore (tanto rumore!), il tutto scandito da testi nonsense che mescolano fantascienza, inquietudini interiori e banali immagini tratte dalla vita di tutti i giorni (ci avete capito qualcosa?). Il concerto si rivela un disastro ma Jon rimane colpito dal leader carismatico del gruppo, il cantante Frank, il cui stravagante stile vocale passa in secondo piano rispetto al suo aspetto fisico: Frank, infatti, indossa un enorme e grottesco testone di cartapesta; non se lo toglie mai, nemmeno in privato (ci fa pure la doccia!), al punto tale che neanche gli altri membri del gruppo conoscono il suo vero aspetto. Frank propone a Jon di entrare nel gruppo in pianta stabile, per partecipare così alle registrazioni del loro fantomatico album d’esordio. A imitazione delle grandi rock band degli anni ’60/’70 (mi vengono in mente subito i Led Zeppelin), i Soronpfrbs stabiliscono il loro quartier generale in una sperduta baita in riva a un lago circondato dai boschi: il luogo ideale per trovare l’ispirazione e campionare i suoni della Natura. Per un anno intero, il povero Jon si ritrova così in balìa di un gruppo di pazzi squilibrati –alcuni “vantano” pure trascorsi come malati psichici- che, tra improbabili jam sessions, liti, giochi, ossessioni, sport, sesso, rilassanti bagni nella Jacuzzi, e pure un suicidio (quello di Don, primo e -ormai da tempo- ex tastierista della band), non registrano una sola nota! Jon, però, non si dà per vinto: consapevole del talento, anche se discontinuo e sregolato, di Frank, posta assiduamente in internet, di nascosto, i video delle prove del gruppo, aggiornando costantemente il suo profilo Twitter, a mo’ di diario delle registrazioni. La sua ostinata strategia mediatica frutta alla band l’inatteso invito all’importante festival musicale texano “South by Southwest”. La trasferta negli States però, anziché decretare la consacrazione del gruppo, ne evidenzia i profondi contrasti interni, portandolo allo scioglimento: le strategie imprenditoriali del nuovo arrivato Jon, l’unica mente “sana” (ma con qualche riserva!) della compagnia, non vengono capite dagli altri membri che, guidati dalla follia di Frank, hanno sempre vissuto in un mondo tutto loro, totalmente dissociato dalla realtà, in cui la musica è intesa come cibo per lo spirito, cura per l’anima, appagamento mistico… A Jon, dopo aver portato il fragile Frank –ormai privo della sua maschera protettiva- sull’orlo della crisi definitiva, non resta che prendere atto della propria incompatibilità con il gruppo e andarsene.
Peccato: per un’ora e un quarto abbondante, il film, ispirato -e dedicato- al comico inglese Chris Sievey, che si esibiva davvero indossando una testa di cartapesta, regala momenti di pura ilarità (come la scena dello spargimento degli integratori di Frank, scambiati per le ceneri di Don) e stupisce in virtù della sua folle libertà narrativa, oltre a farsi apprezzare per il gran lavoro compiuto sulle musiche, tutte originali e suonate live dagli attori durante le riprese. Poi, purtroppo, accade il “fattaccio”: Frank svela il suo vero volto (che è quello di Michael Fassbender), e la scanzonata commedia grottesca -capace di rendere comica persino la cerimonia funebre del suicida- su una scalcagnata quanto irresistibile banda di freaks lascia improvvisamente il posto a un malinconico finale “serio”, in cui Jon ritrova Frank a casa con i genitori, drammaticamente messo a nudo nella sua condizione di malato mentale. Che il regista abbia voluto porre l’accento sull'estrema sensibilità e sui tormenti interiori tipici dell’artista vero, in cui genio e pazzia si rincorrono in continuazione (ispirandosi al Crazy Diamond Syd Barrett, citato nel film)? Si potrebbe sostenere pure l’ipotesi opposta: prima di lasciare Frank, Jon scopre con sorpresa che il suo “idolo” proviene da una famiglia tranquilla e qualunque mentre, per giustificare l’enorme statura artistica di Frank rispetto alla propria, lo aveva immaginato alle prese con chissà quali angosce esistenziali, provenienti senz'altro da un passato difficile grazie al quale era diventato follemente geniale, o genialmente folle, se preferite. Questo, in omaggio a uno dei classici miti del mondo dello spettacolo: quello che considera l’arte migliore come figlia della sofferenza; ma Jon ha appena assistito alla confutazione di tale teorema. Comunque sia, il personaggio principale, ormai smascherato, perde di colpo tutto il proprio fascino e carisma, mentre la sceneggiatura scade proprio in questo suo voler fornire una spiegazione: sarebbe stato molto meglio mantenere tale il mistero di Frank, evitando di imprimere una svolta drammatica a una vicenda che funziona fintantoché mantiene la propria leggerezza. Un commiato dimesso e incoerente, che stona molto più delle dissonanti armonie composte da Frank & soci, per un film giunto alla destinazione sbagliata dopo una partenza e un viaggio che autorizzavano a sperare in ben altra conclusione…
Avviso ai naviganti: chiuso con successo il ciclo “Scusate il ritardo”, il Cinema Eden -in collaborazione con Officine della Cultura, Chora srl, Comune di Arezzo e Fraternita dei Laici- proseguirà le proiezioni infrasettimanali con una nuova rassegna, intitolata semplicemente “Mercoledì al Cinema” che, a partire dal prossimo 25 marzo, proporrà un film a settimana fino all’appuntamento conclusivo del 6 maggio (per info www.officinedellacultura.org/cinema.php). I primi titoli in programma sono Le mani sulla città e Salvatore Giuliano, i due film più importanti del Maestro Francesco Rosi, scomparso recentemente e giustamente celebrato con questo doppio omaggio –mentre stride ancora l’inconcepibile silenzio di Hollywood all’ultima cerimonia dei premi Oscar.
Francesco Vignaroli
Un ringraziamento particolare a Gianni Micheli di Officine della Cultura per la disponibilità e la cortesia
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