Ho
conosciuto Daniele Monachella sul set del film “Ritratto di
famiglia” diretto da Alexey Demichev, una giovane promessa del
cinema che sta ultimando il corso di regia alla Civica Scuola di
Cinema a Milano. Come in tutti i set che si rispettino, quelli dove
lavorare in team è una piacere ma anche un must, perché lo
scopo principale è la buona riuscita del prodotto finale e non i
capricci delle “prime donne”, si fanno belle amicizie, ci
si scambia informazioni tra noi attori, si scherza, ci si
aiuta, si vuole sapere cosa abbiamo fatto e cosa faremo.
E
così, conversando con Daniele, nei momenti di pausa, mi
ha parlato del suo imminente spettacolo che sarà in scena a Roma al
Teatro dell’Orologio il 27, 28 e 29 marzo e a Milano al
Franco Parenti il 15, 16 e 17 maggio.
Non
ho potuto fare a meno di con-dividere con i lettori del Corriere
dello Spettacolo, spero futuri spettatori, questa notizia, ma anche
qualche cosa sulla carriera di Daniele, sulla sua vita… tutto se lo
vorrà e se saprò fare breccia nella sua “diffidente”
anima sarda.
Pare
che ho avuto successo…
Ecco
allora cosa mi racconta Daniele, guardandomi con i suoi occhi verdi e
parlando con quell’accento, che, seppur leggero, “tradisce” le
sue origini.
Sardo
di dove?
Torres!
Sassari per gli amici! Monte Rosello town
Cosa
ti piace della tua terra d’origine e cosa non ti piace.
Scontato
da dire ma è il mare ciò che amo! Ma anche l’entroterra ricco di
tradizione! Nonché l’ironia dei sardi! Mi son dilungato?! Non amo
il diffuso servilismo e propensione all’assistenzialismo di molti
sardi.
Ti
manca la tua isola quando sei lontano?
Sì,
visceralmente!
Scusa
Daniele, ma non è che si incontrano tutti i giorni dei sardi…
siete un po’ ritrosi a uscire dall’isola. Oppure è un cliché
che gira e che dobbiamo sfatare?
Sfatate
tutti i cliché sugli abitanti di Ichnussa o Sandalyon
(l’antico nome greco dell’isola, dettato per la sua conformazione
simile a un piede). Abbiamo nei geni l’eredità degli Shardana. In
pochi lo sanno ma siamo stati anche popolo del mare e navigatori nel
II millennio a.C. Quando attraversiamo il mare, lo facciamo per
conquistare!
Raccontaci
come è nata la tua passione per lo spettacolo. C’è qualcuno
che ti ha ispirato, guidato?
Devo
dare la “responsabilità” a un caro professore di musica delle
scuole medie. Con lui si parlava di teatro, si faceva il teatro, ci
portava a teatro. Seminava nel nostro cuore quella che era la sua
passione. Poteva lasciarci in cortile a menarci … e invece …
A volte la vita! Se devo pensare a qualcuno che mi ha ispirato e che
mi ispira non posso non citare Eduardo e Michael Caine.
Come
ti prepari quando devi affrontare un personaggio?
Non
mi preparo! Aspetto che il personaggio mi salti addosso e solo allora
studio la strategia! Di solito con un diretto sinistro e un gancio
destro mi porto a casa il primo round!
Cosa
saresti se non fossi un attore?
Forse
un lupo siberiano.
Cosa
ti piace nell’essere attore, cosa no, e cosa cambieresti, se
potessi, nel nostro mondo.
In
merito a cosa non mi piace e a cosa cambierei, posso rispondere in
sanscrito così in Italia non si offenderebbe nessuno?! Essere attore
significa per me respirare la vera essenza della realtà!
E
ora veniamo al motivo principale di questa conversazione. Parlaci
dello spettacolo che debutta a Roma e poi a Milano.
“Un
anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu, il più importante e famoso
memoriale della Prima Guerra mondiale. Il recital tratto dal
memoriale di Emilio Lussu "Un anno sull'Altipiano" prende
spunto dall'esergo presente nel libro "Ho più ricordi che se
avessi mille anni", di evidente rimando a "I fiori del
male" di Baudelaire. Il testo letterario fu il fedele amico
dell'autore, durante la sua lunga permanenza nei sette Comuni
dell'Altipiano di Asiago. L'alto valore letterario, civile,
identitario, storico e sociale dell'opera, traduce in esigenza
artistica la volontà di tramandare attraverso il linguaggio
performativo di prosa-musicale, il messaggio morale contenuto in
essa, nonché onorare la memoria del popolo sardo che con migliaia di
vite umane, pagò l'immane prezzo della Grande guerra. I dominatori
aragonesi vissuti in Sardegna, definivano i sardi "Pocos locos i
mal unidos", mentre Emilio Lussu, nella sua analisi testuale,
sottolinea come per la prima volta i sardi rimasero coesi, seppur
nella sventura delle trincee. Così riunisce il pensiero
collettivo dei "Diavoli Rossi", sotto l'egida del motto
"Forza paris" - "Forza insieme”. Mi accompagnano in questa avventura l'etnomusicologo Andrea Congia alla chitarra e agli effetti loop-station e il Premio "Maria Carta" Andrea Pisu alla launeddas e alle percussioni.
Non
dovremmo mai dimenticare il passato, è grazie ad esso che
siamo più ricchi.
Non
dovremmo dimenticarlo, ma pare che lo studio del passato possa dare
beneficio al presente e in questo momento qualcuno o qualcosa tenta
di cancellarlo, proiettandoci verso la standardizzazione dei cervelli
e delle coscienze!
Che
cosa ti aspetti dalla vita?
E
la vita cosa si aspetta da me?
Cosa
ti fa felice e cosa no.
Non
c’è nulla che mi renda infelice. Il respiro del mattino e i
sorrisi sono linfa per la felicità!
Che
cosa chiedi ad un regista? E ad un collega?
Al
regista non chiedo, propongo. Ad un collega domando dov’è il
bagno? oppure a che ora è la pausa? o ancora se può smarcarsi un
“pelino” perché mi sta “impallando”!
Hai
altri progetti imminenti?
Sì,
tanti! E imminenti…
Pensi
che si parli troppo poco della tua bella isola, della gente e delle
sue tradizioni?
Si
parla poco delle eccellenze della nostra isola e molto delle
mediocrità!
Mi
ha fatto piacere conoscerti, in veste di fotografo “di
grido”… sul set intendo. Ora ti lascio l’ultima parola,
Daniele, per concludere questa conversazione.
Il
piacere è reciproco e mi auguro di poter ancora condividere il set!
… E
mi raccomando di sorridere sempre, perché i fotografi sono sempre
dietro l’angolo e pronti a scattare! Ajo’ :-)
Curata
da Daria D.
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