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16 marzo, 2015

TRA CALCIO E DEMOCRAZIA: “LA LIBERTA’ E’ UN COLPO DI TACCO”. Di Francesco Vignaroli


Monte San Savino, Teatro Verdi. Mercoledì 11 marzo 2015


La storia ci ha dimostrato a più riprese come lo sport, forse il vero oppio dei popoli (almeno dal ‘900 in poi), proprio in virtù della sua enorme popolarità si arricchisca spesso di significati che travalicano il semplice aspetto ludico per abbracciare altri ambiti della vita umana, come la cultura, la socialità o la politica. Riguardo quest’ultima, vi basti pensare, come esempio concreto, a tutte le implicazioni politiche assunte dal più importante evento sportivo mondiale, cioè le Olimpiadi: durante il mese olimpico, gli stati belligeranti osservano (purtroppo, non sempre) la cosiddetta “tregua olimpica”, in base alla quale si impegnano a sospendere le ostilità almeno per tutta la durata dei Giochi.
Oltre a questo le Olimpiadi, essendo un evento che garantisce una sicura visibilità planetaria, sono state non di rado sfruttate dagli atleti, o da intere nazioni alle loro spalle, per lanciare messaggi al Mondo. Mi viene subito in mente, giusto per citare uno degli episodi più eclatanti, la celebre esultanza col pugno chiuso guantato di nero (in sostegno al “Progetto Olimpico per i Diritti Umani”) di Tommie Smith e John Carlos, rispettivamente oro e bronzo nei 200m alle olimpiadi di Città del Messico nel 1968; ma è opportuno ricordare pure, negli anni ’80, e cioè in piena guerra fredda, il boicottaggio incrociato tra Stati Uniti e URSS alle rispettive Olimpiadi (gli americani disertarono in blocco i Giochi di Mosca 1980, ricambiati dai sovietici nell’edizione successiva di Los Angeles). E cosa dire del calcio, forse lo sport più popolare e praticato al mondo? Se parliamo di legami tra calcio e politica, oggi è quasi automatico pensare al turpe fenomeno -particolarmente accentuato in Italia- della cosiddetta “politicizzazione delle curve”: ben consapevoli dell’enorme esposizione mediatica garantita dal calcio, le frange estreme degli Ultras trasformano spesso le curve degli stadi in veri e propri luoghi di propaganda “ideologica”, sostituendo le bandiere e i cori d’incitamento alla propria squadra con slogan e striscioni dagli espliciti (e quasi sempre negativi) riferimenti politici, che nulla hanno a che vedere con lo sport. Dal canto loro, i giocatori si limitano a utilizzare le telecamere per mostrare, attraverso magliette indossate sotto la divisa sociale ed esibite dopo un gol, impudiche rivendicazioni di appartenenza religiosa o sociale (come la frase “I BELONG TO JESUS” esibita dall’”atleta di Cristo” ed ex milanista Kakà) o autoreferenziali dediche a familiari (fidanzate, mogli, figli, genitori…) e amici. Per fortuna, non è sempre così e, soprattutto, non è stato sempre così. Per quanto più sporadiche e meno enfatizzate dai mass media (purtroppo, vale sempre il detto “FA MOLTO PIU’ RUMORE UN ALBERO CHE CADE RISPETTO A CENTO ALBERI CHE CRESCONO”…), ci sono state anche situazioni in cui il mondo “pallonaro” si è distinto per il comportamento esemplare di giocatori e tifosi, che hanno saputo dare dimostrazione di una sensibilità sociale a volte sorprendente. Tanto per non tornare troppo indietro nel tempo, ricordate, alcuni anni fa, la netta presa di posizione dei giocatori del Treviso che, per protestare contro il razzismo, scesero in campo con il volto dipinto di nero come segno di solidarietà verso un compagno “di colore” (il virgolettato a sottolineare l’assurdità di questa espressione comune: perché identificare solo i neri come “di colore”? Siamo tutti “di colore”!) che era stato vittima di discriminazioni di tipo razziale? Potrei citare, inoltre, certi striscioni esibiti dai tifosi di varie squadre per esprimere solidarietà nei confronti dei connazionali vittime di calamità naturali (terremoti, alluvioni…) o episodi di violenza umana (rapimenti, guerre, terrorismo…).

Ben oltre gli episodi riportati, c’è stato un momento, probabilmente irripetibile, in cui lo sport più amato al mondo (e, se non al mondo, senz’altro nel paese in cui si è svolta questa vicenda!) ha saputo addirittura anticipare e favorire il progresso sociale, fornendo un esempio decisivo per il ritorno della democrazia in una nazione come il Brasile, oppressa da una ventennale dittatura militare (1964-1884). Sto parlando della leggendaria Democratia Corinthiana (1982-1984), cioè il primo (e, credo, unico) caso, nella storia del calcio, di autogestione collettiva e democratica di una società: il glorioso Corinthians di San Paolo, in cui tutte le decisioni, di qualunque tipo fossero (tecniche, logistiche, economiche…), venivano prese applicando alla lettera gli ideali costitutivi della democrazia. Concretamente, tutto ciò si traduceva in due principi fondamentali: 1) votazione a maggioranza su ogni questione; 2) diritto di voto riconosciuto a TUTTI i membri del club, partendo dal presidente, passando per dirigenti, tecnico e giocatori, fino ad arrivare a magazzinieri, giardinieri… Nessuno era escluso e, naturalmente, a prescindere dal ruolo rivestito nella società, tutti erano dotati di pari dignità e quindi di uguale “peso politico”. L’ideologo e principale artefice di questa vera e propria -ancorché breve- “primavera corinthiana” fu il grande Socrates (1954-2011), indimenticabile centrocampista dal portamento regale e dalla classe sopraffina, così chiamato dal padre, grande appassionato di classici greci, dopo aver letto La Repubblica di Platone. Soprannominato O doutor (il dottore) per via della professione di medico che, dopo aver conseguito la laurea in medicina, esercitava parallelamente a quella di calciatore professionista, Socrates fu molto più che un calciatore. In virtù del carisma, della notevole cultura e intelligenza che, unite a idee politiche dichiaratamente di sinistra, lo portarono ben presto a distinguersi, pur nell’opprimente Brasile di quegli anni, come uno spirito libero, eccentrico, politicamente impegnato e insofferente ai soprusi perpetrati dalle autorità, non è esagerato definire Socrates come un intellettuale. Viste tali premesse, chi, se non lui, poteva farsi promotore della piccola/grande rivoluzione che ha portato il Corinthians di San Paolo a porsi come un’isoletta di democrazia –quasi un paradiso in cui si era avverata l’utopia- nell’oceano della dittatura?

Proprio dal tipico “marchio di fabbrica” (nel senso di gesto tecnico più caratteristico) di Socrates, cioè il colpo di tacco, prende il nome La libertà è un colpo di tacco, il monologo –tratto da un racconto di Riccardo Lorenzetti- scritto e diretto da Manfredi Rutelli e interpretato da Roberto Ciufoli, attore che ha conquistato una certa popolarità televisiva come membro del quartetto comico la Premiata Ditta. Piacevolmente sospeso tra puntigliosa ricostruzione storica e affabulazione, lo spettacolo rievoca i giorni eroici della Democracia Corinthiana, seguendo contemporaneamente le vicissitudini di due compagini tanto pittoresche -ciascuna a suo modo- quanto intimamente legate tra loro dal comune ideale democratico: Socrates, Biro-Biro, Wladimir, Casagrande e gli altri giocatori del Corinthians da una parte; Alvaro Cunha, Violetta e gli altri giornalisti del locale quotidiano sindacal/sportivo (e covo di tifosi corinthiani) “Il Cardellino”, perennemente in lotta contro la censura (e le botte), dall’altra. La piece segue le vicissitudini dei protagonisti con affetto, poesia, ironia e una certa nostalgia; grazie a una scrittura agile, che ha evitato pesantezza ed eccessi didascalici, la noia è costantemente tenuta alla larga, e non si può fare a meno di venire catturati dalla storia. Merito anche dell’appassionata e coinvolgente esposizione di Roberto Ciufoli che, pur mantenendo il tono del monologo vivace e colorato, evita di “sbracare” con inutili “gigionerie”, riuscendo comunque a tener viva l’attenzione dello spettatore senza mai perdere un colpo per tutta l’ora e un quarto abbondante della sua solitaria esibizione, integrata da brevissimi commenti musicali che costituiscono l’unico extra di una messinscena opportunamente essenziale.

Torniamo alla Democracia Corinthiana e a Socrates, giusto per approfondire ulteriormente la vicenda (cosa che, del resto, in parte fa anche Ciufoli durante lo spettacolo) e chiudere il cerchio.
Il grande numero 8 esordì nel Corinthians alla fine degli anni ’70. Il Timào -altro nome con il quale i tifosi indicano il club- era ed è considerato la “squadra del popolo” di San Paolo (quindi, sulla carta, la più idonea ad accogliere uno come Socrates), in netta contrapposizione rispetto ai rivali storici del Sao Paulo, società tradizionalmente associata agli esponenti dell’alta borghesia cittadina. Nel ’79 Socrates vinse con il Corinthians il suo primo Paulistao, il campionato statale, che in Brasile si gioca parallelamente al Brasileirao, il campionato nazionale, ed è forse più sentito di quest’ultimo. Poi, in quelli che Ciufoli chiama “ANNI DI MEZZO” (per indicare una fase di transizione), cioè i primi ’80, periodo in cui la dittatura cominciò a dare segni di stanchezza, Socrates e compagni crearono quella Democracia Corinthiana che stupì il mondo intero, allo scopo di favorire il risveglio della coscienza democratica nei propri connazionali e dimostrare con il loro esempio concreto che un “altro Brasile” fosse possibile. Forti di una compattezza granitica e di un totale affiatamento, oltre che di quella rivoluzionaria organizzazione interna egualitaria di cui sopra, i giocatori del Timào si resero protagonisti di clamorose iniziative mai viste prima, che trasformarono il calcio brasiliano, fino ad allora soltanto alegria del pueblo, in consciencia del pueblo. Il primo passo per reclamizzare il loro progetto fu un’idea semplice e geniale: far stampare nel retro delle divise da gioco, proprio sopra il numero (cioè dove le altre squadre portavano il nome dello sponsor), la scritta “Democracia Corinthiana”; l’espediente fu ripetuto, in seguito, sostituendo la scritta con slogan che esprimevano, ad esempio, messaggi politici rivolti alla dittatura (come la richiesta della liberazione di importanti sindacalisti), oppure appelli alla popolazione, cui si raccomandava di andare a votare (sì, perché, almeno a livello locale, le libere elezioni erano state ripristinate). Nonostante l’assiduo impegno civile e politico, i giocatori non trascurarono i doveri sportivi e, trascinati da Socrates, siglarono una storica doppietta con i due titoli paulisti consecutivi del 1982 e del 1983, togliendosi pure l’impagabile soddisfazione, nel primo caso, di battere in finale gli odiati concittadini del Sao Paulo. Se la dittatura era ormai agli sgoccioli, valeva altrettanto per la Democracia Corinthiana: a porre definitivamente fine a quell’incredibile stagione di calcio&ideali fu la contemporanea partenza, nel 1984, del leader Socrates e del giovane Casagrande. Il primo fu protagonista di un anonimo campionato con la Fiorentina nella stagione ‘84/’85 (25 presenze e 6 gol), cui fece seguito un immediato ritorno in patria: i ritmi forsennati della Serie A, all’epoca (ma oggi non più!) il più bello ma probabilmente anche il più stressante campionato al mondo, non si addicevano proprio al compassato “Dottore che non curava la fatica”! Anche Casagrande, dopo un inatteso trasferimento presso i “nemici” del Sao Paulo cui fecero seguito un fugace ritorno al Corinthians e un'altrettanto breve parentesi portoghese, giunse in Italia per vestire le maglie di Ascoli e Torino, arrivando con i granata fino alla sfortunatissima finale di Coppa UEFA ’92, immeritatamente persa contro l’Ajax. Se Socrates, dal punto di vista meramente calcistico, non è riuscito a lasciare un buon ricordo di sé nel nostro paese (ma quel campionato ‘84/’85 non fa testo, se consideriamo la sua carriera precedente), evidentemente non si può dire altrettanto del fascino esercitato dalla sua figura di intellettuale e simbolo della Democracia Corinthiana, rimasto immutato a più di trent’anni di distanza: oltre al qui presente, e ottimo, spettacolo teatrale, che per una notte ha colorato di verde e oro –i colori della maglia di calcio del Brasile- il grazioso teatro Verdi di Monte San Savino, esiste anche il film documentario di Mimmo Calopresti Socrates, uno di noi (2014), trasmesso da Rai Tre nel giugno scorso.

Francesco Vignaroli


Compagnia LST TEATRO (Siena)
LA LIBERTÀ È UN COLPO DI TACCO
scritto e diretto da Manfredi Rutelli da un racconto di Riccardo Lorenzetti

con ROBERTO CIUFOLI
musiche originali di Massimiliano Pace

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