Arezzo,
Cinema Eden. Venerdì 6 marzo 2015
“IN
NO SENSE? NONSENSE!” (dal titolo di un album degli Art of Noise)
“SPQS”:
SONO PAZZI QUESTI SVEDESI!!! Tre incontri con la morte - Una
prosperosa insegnante di flamenco – Un barbiere che viene
dall’acqua - “SONO MOLTO CONTENTO/A DI SENTIRE CHE STATE BENE”-
Un appuntamento che non avverrà mai - Lo sapevate che gli scherzi di
carnevale sono tristi, ma tristi davvero??!! Vedere la maschera di
“zio dentone” e i canini extra-lunghi per credere! – 1943: la
barista bacia tutti quelli che non possono pagare la bevuta – Un
piccione torna a casa perché non ha soldi – Un innocente giocatore
di videopoker preso a frustate - Il re ha bevuto il suo
bicchiere d’acqua, ma il russo gliele ha suonate a tradimento, e
adesso non può nemmeno pisciare perché il bagno è occupato –
Homo sapiens (???) – Un’originale tortura come esercizio
di potere - “E’ DI NUOVO MERCOLEDI’!” “SI’, MA PERCHE’?”
“PERCHE’ IERI ERA MARTEDI’ E DOMANI SARA’ GIOVEDI’!”…
Non
preoccupatevi per la mia salute mentale (me la sono giocata già da
un bel pezzo, ormai…): si è trattato solo di un minuscolo saggio
di quella che i “benparlanti” (bella questa, eh?) chiamano
“scrittura creativa”.
Non
ci avete capito niente, vero?! State tranquilli, allora: avete capito
tutto!!! Quest’ultima fatica dal titolo chilometrico –capitolo
conclusivo di una “TRILOGIA SULL’ESSERE ESSERE UMANI”- dello
stralunato regista svedese Roy Andersson, che gli è valsa pure il
Leone d’oro a Venezia 2014, è una celebrazione estrema di quel
sublime teatro dell’assurdo che è la vita umana, dove la mancanza
di un senso è tale che le banalità quotidiane assurgono al ruolo di
massime immortali (vedi il dialogo sui giorni della settimana).
Evidentemente, Andersson non è affetto da horror vacui, e con
Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza (un
titolo che è già un capolavoro di per sé) si spinge oltre You,
the living (2007), lavorando ancor più di sottrazione per
portare all’esasperazione estrema i propri abituali stilemi
artistici e con essi il suo discorso sull’umanità: inquadrature
fisse in campo medio di assoluto rigore geomentrico (non pende un
capello!); attori catatonici e inespressivi che in più, qui, sono
affetti da un pallore costante che ne esprime efficacemente –in
ottica quasi espressionista- lo status di zombi ancor
più del loro ripetere meccanicamente sempre le stesse battute;
dialoghi ridotti al lumicino; trama praticamente inesistente, con
lunghe pause e tempi morti; raccordi narrativi impossibili. Di tutto
ciò, almeno dal mio punto di vista, il regista si è servito per
esprimere senza timore né reticenze il vuoto esistenziale e
l’assoluta mancanza di solidi appigli che caratterizzano la
condizione umana, mettendo così alla berlina tutte le presunte
certezze e le pretese di serietà dell’uomo. Il film ha
un’impostazione piuttosto teatrale, quasi cameristica, e si
sviluppa per piccoli blocchi narrativi seguendo le “vicissitudini”
–il virgolettato è d’obbligo, poiché non succede praticamente
nulla- di vari personaggi, con particolare attenzione ad una vicenda
che potremmo (mooolto liberamente) definire come principale, cioè
quella dei due maldestri e tristissimi rappresentanti -forse pure
amanti, ma poco importa- di scherzi di carnevale. Una commedia
davvero sui generis, dove in realtà si ride poco, pochissimo,
complice anche il “glaciale” humor nordico, piuttosto
diverso (eufemismo) da quello cui siamo abituati a queste latitudini.
In compenso, però, si pensa e, se si segue il film adottando una
giusta prospettiva (vedi sopra), lo si può trovare anche godibile.
Il grottesco prevale sul comico, il non-sense sul classico
sketch, i significati criptici su quelli espliciti. Una brezza
di attonita follia attraversa tutta la storia, con improvvisi squarci
surreali che ricordano Luis Bunuel, anche se la comicità lunare e
appena accennata di Un piccione… e le inquadrature statiche
in cui si verificano più eventi contemporaneamente, avvicinano forse
Andersson più all’indimenticabile mimo francese Jacques Tati che
al maestro spagnolo; degno del russo Aleksandr Sokurov è, invece, il
lungo piano-sequenza nel bar con l’esercito del re che sfila in
parata sullo sfondo. In questo film, però, sono legittimi anche
certi accostamenti letterari. Uno degli spettatori presenti in sala,
per esempio, “ci ha ritrovato” Kafka, con il suo radicale
pessimismo circa la possibilità dell’uomo di liberarsi dalla
realtà che lo opprime facendo ricorso alla propria razionalità: la
banalità e l’insensatezza elette a sistema, il dominio
dell’irrazionalità sulla ragione contro ogni possibilità di presa
sul mondo…
Il
simpatico volatile che dà il titolo al film lo sentiamo tubare fuori
campo, probabilmente divertito ma anche un po’ perplesso, sopra gli
automi umani che “vivono” la loro vita, ai quali forse riterrà
opportuno regalare, prima o poi, un segno tangibile del suo
apprezzamento “dall’alto”…
Un
piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza è un’opera
ostica e non per tutti i gusti, che richiede una certa
predisposizione e dimestichezza verso il cinema alternativo, oltre a
una buona capacità di “lettura tra le righe”, elementi dalla cui
presenza o meno dipenderà la vostra valutazione di questo film come
una buffonata o un capolavoro…
Francesco
Vignaroli
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