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15 marzo, 2015

“UN PICCIONE SEDUTO SU UN RAMO RIFLETTE SULL’ESISTENZA”, OVVERO: TUTTO L’ASSURDO DELLA VITA. Di Francesco Vignaroli


Arezzo, Cinema Eden. Venerdì 6 marzo 2015

IN NO SENSE? NONSENSE!” (dal titolo di un album degli Art of Noise)

SPQS”: SONO PAZZI QUESTI SVEDESI!!! Tre incontri con la morte - Una prosperosa insegnante di flamenco – Un barbiere che viene dall’acqua - “SONO MOLTO CONTENTO/A DI SENTIRE CHE STATE BENE”- Un appuntamento che non avverrà mai - Lo sapevate che gli scherzi di carnevale sono tristi, ma tristi davvero??!! Vedere la maschera di “zio dentone” e i canini extra-lunghi per credere! – 1943: la barista bacia tutti quelli che non possono pagare la bevuta – Un piccione torna a casa perché non ha soldi – Un innocente giocatore di videopoker preso a frustate - Il re ha bevuto il suo bicchiere d’acqua, ma il russo gliele ha suonate a tradimento, e adesso non può nemmeno pisciare perché il bagno è occupato – Homo sapiens (???) – Un’originale tortura come esercizio di potere - “E’ DI NUOVO MERCOLEDI’!” “SI’, MA PERCHE’?” “PERCHE’ IERI ERA MARTEDI’ E DOMANI SARA’ GIOVEDI’!”…

Non preoccupatevi per la mia salute mentale (me la sono giocata già da un bel pezzo, ormai…): si è trattato solo di un minuscolo saggio di quella che i “benparlanti” (bella questa, eh?) chiamano “scrittura creativa”.




Non ci avete capito niente, vero?! State tranquilli, allora: avete capito tutto!!! Quest’ultima fatica dal titolo chilometrico –capitolo conclusivo di una “TRILOGIA SULL’ESSERE ESSERE UMANI”- dello stralunato regista svedese Roy Andersson, che gli è valsa pure il Leone d’oro a Venezia 2014, è una celebrazione estrema di quel sublime teatro dell’assurdo che è la vita umana, dove la mancanza di un senso è tale che le banalità quotidiane assurgono al ruolo di massime immortali (vedi il dialogo sui giorni della settimana). Evidentemente, Andersson non è affetto da horror vacui, e con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza (un titolo che è già un capolavoro di per sé) si spinge oltre You, the living (2007), lavorando ancor più di sottrazione per portare all’esasperazione estrema i propri abituali stilemi artistici e con essi il suo discorso sull’umanità: inquadrature fisse in campo medio di assoluto rigore geomentrico (non pende un capello!); attori catatonici e inespressivi che in più, qui, sono affetti da un pallore costante che ne esprime efficacemente –in ottica quasi espressionista- lo status di zombi ancor più del loro ripetere meccanicamente sempre le stesse battute; dialoghi ridotti al lumicino; trama praticamente inesistente, con lunghe pause e tempi morti; raccordi narrativi impossibili. Di tutto ciò, almeno dal mio punto di vista, il regista si è servito per esprimere senza timore né reticenze il vuoto esistenziale e l’assoluta mancanza di solidi appigli che caratterizzano la condizione umana, mettendo così alla berlina tutte le presunte certezze e le pretese di serietà dell’uomo. Il film ha un’impostazione piuttosto teatrale, quasi cameristica, e si sviluppa per piccoli blocchi narrativi seguendo le “vicissitudini” –il virgolettato è d’obbligo, poiché non succede praticamente nulla- di vari personaggi, con particolare attenzione ad una vicenda che potremmo (mooolto liberamente) definire come principale, cioè quella dei due maldestri e tristissimi rappresentanti -forse pure amanti, ma poco importa- di scherzi di carnevale. Una commedia davvero sui generis, dove in realtà si ride poco, pochissimo, complice anche il “glaciale” humor nordico, piuttosto diverso (eufemismo) da quello cui siamo abituati a queste latitudini. In compenso, però, si pensa e, se si segue il film adottando una giusta prospettiva (vedi sopra), lo si può trovare anche godibile. Il grottesco prevale sul comico, il non-sense sul classico sketch, i significati criptici su quelli espliciti. Una brezza di attonita follia attraversa tutta la storia, con improvvisi squarci surreali che ricordano Luis Bunuel, anche se la comicità lunare e appena accennata di Un piccione… e le inquadrature statiche in cui si verificano più eventi contemporaneamente, avvicinano forse Andersson più all’indimenticabile mimo francese Jacques Tati che al maestro spagnolo; degno del russo Aleksandr Sokurov è, invece, il lungo piano-sequenza nel bar con l’esercito del re che sfila in parata sullo sfondo. In questo film, però, sono legittimi anche certi accostamenti letterari. Uno degli spettatori presenti in sala, per esempio, “ci ha ritrovato” Kafka, con il suo radicale pessimismo circa la possibilità dell’uomo di liberarsi dalla realtà che lo opprime facendo ricorso alla propria razionalità: la banalità e l’insensatezza elette a sistema, il dominio dell’irrazionalità sulla ragione contro ogni possibilità di presa sul mondo…
Il simpatico volatile che dà il titolo al film lo sentiamo tubare fuori campo, probabilmente divertito ma anche un po’ perplesso, sopra gli automi umani che “vivono” la loro vita, ai quali forse riterrà opportuno regalare, prima o poi, un segno tangibile del suo apprezzamento “dall’alto”…

Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza è un’opera ostica e non per tutti i gusti, che richiede una certa predisposizione e dimestichezza verso il cinema alternativo, oltre a una buona capacità di “lettura tra le righe”, elementi dalla cui presenza o meno dipenderà la vostra valutazione di questo film come una buffonata o un capolavoro…

Francesco Vignaroli


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