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09 aprile, 2015

BEN HUR. Quando la commedia diventa cult. Di Paolo Leone


Roma, Teatro Ghione. Dall’8 al 19 aprile 2015

Quando uno spettacolo teatrale supera la trecentesima replica, e continua imperterrito a registrare record nel numero degli spettatori, oltrepassando di slancio i 100.000, è segno indiscutibile che di qualità ce n’è tanta, che la storia affascina e colpisce nonostante gli anni che passano. Ben Hur torna a Roma per la quarta volta, stavolta al Teatro Ghione, e l’attesa è sempre tanta. Molti tornano a vederlo, è una commedia (soltanto?) che crea dipendenza, in cui ogni volta si scopre un particolare, un significato sfuggito nell'occasione precedente. Periferica storia romana, ammantata di una grazia forse irripetibile. Da anni sostengo che questo è il capolavoro, ad oggi, di Gianni Clementi. Periferie dell’umanità, di una città che esula dalle patinate cartoline e dai sogni che magari ancora qualcuno, lontano da qui, continua a fare. Sergio e Maria (Pistoia e De Vito) sono due fratelli delusi dalla vita, adagiati in un grigiore senza speranza, se non quella di svoltare con un gratta e vinci o vincere un’improbabile causa per infortunio sul lavoro.
 

Lavoretti giornalieri, lei in una chat-line erotica e lui centurione per i turisti al Colosseo. A spezzare il tran tran quotidiano l’arrivo di un immigrato clandestino bielorusso, Milan (Triestino), infaticabile lavoratore, laureato, pieno di entusiasmo in un futuro migliore. Si scontrerà con una realtà cinica, stanca, profittatrice, incattivita e disincantata, ma lui è l’unico che porta il colore in quelle esistenze, e la possibilità ingenua di una vita migliore. Nuova luce, inventiva, forse anche un amore che sta per nascere. Ma qui la genialità drammaturgica di Clementi colpisce duro! Ben Hur è una commedia che mentre fa ridere (e si ride tanto), fustiga le schiene lasciandovi i segni. In ogni risata o sorriso si nasconde un graffio che fa male, dietro ogni sorriso o speranza c’è un abisso di povertà morale che fa paura

Non a caso il personaggio chiave è apparentemente il più indifeso, quella Maria (interpretazione sempre straordinaria, ricca di sfumature, della De Vito) dimessa e arresa alla vita, lei sì corazzata come un centurione, che sferrerà il suo colpo micidiale, spietato. Uno spettacolo perfetto negli equilibri emotivi. Tragicamente comico e comicamente tragico. I tre interpreti completano e fanno proprio, alla perfezione, il testo di un Clementi illuminato con un’armonia, con un ritmo e con tempi comici che è raro riscontrare su un palcoscenico.
Verità, credibilità, grande attenzione ad ogni singola variazione di tono dei loro personaggi. Elisabetta De Vito, Paolo Triestino e Nicola Pistoia, una “ditta” ormai consolidata, continuano ad emozionare il loro affezionatissimo pubblico e a sorprendere chi ancora non ha mai visto Ben Hur, che ormai non è più soltanto una commedia, ma un evento, un cult da tramandare da padre a figlio, da amico ad amico, finchè sarà possibile. Se il teatro è emozione, qui se ne trova in quantità tale da passare dalla risata al gelo in più momenti. Dire che si ride soltanto, in un lavoro come questo, è una bestemmia. C’è tanto di più e si arriva a capire quanta paura abbiamo quando “l’altro” è migliore di noi. Il finale, caustico, è da standing ovation. Imperdibile.

Paolo Leone


Roma, Teatro Ghione. Dall’8 al 19 aprile
Neraonda presenta: Paolo Triestino, Nicola Pistoia, Elisabetta De Vito in BEN HUR (una storia di ordinaria periferia), di Gianni Clementi.

Scene di Francesco Montanaro; Costumi di Isabella Rizza; Disegno luci di Marco Laudando. Regia di Nicola Pistoia.

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