10 aprile, 2015

EMILIA scritto e diretto da Claudio Tolcachir. Di Daria D.


Piccolo Teatro Grassi, Milano. Dal 9 al 19 aprile 2015

Mi amor, mi amor, mi amor… quante volte, come una litania, sentiamo queste parole uscire dalla bocca di Emilia, la tata ritrovata, la niňera di Walter, e man mano che le sentiamo, perdono di significato, diventando solo un’ ossessione, un’abitudine a ripetere, perdendo forza e significato. Tanto che anche Emilia, interpretata da Elena Boggan, il cui volto, bello ed espressivo è più adatto a primi piani cinematografici che alla distanza teatrale, ci piace sempre meno, con i suoi ricordi stucchevoli, l’attaccamento morboso a quel bambino che lei ha allattato tanto tempo prima e di cui sa tutto, molto di più di quello che sa sua moglie Caro. Tra Emilia e Walter il virtuale cordone ombelicale non si è mai spezzato, con il rischio di strangolarli, tra ricordi e dipendenza affettiva.
Mi amor...mi amor... alla fine suona falso, forzato, anche se piangono uno nelle braccia dell’altro, carezzandosi, guardandosi negli occhi, come se Walter fosse rimasto il bambino timido e poco dotato che era, e lei, la sua “mamma/padrona”, quella che sa, che giudica, che punisce, che loda, perché in nome dell’amore tutto è possibile… anche uccidere.
Dalla sua entrata nella casa di Walter, una casa ancora sottosopra per via del trasloco e qui apro una parentesi: perché non aver messo sulla scena scatoloni di tante dimensioni, oltre al resto che abbiamo visto, un po’ troppo ordinato, da cui far uscire gli oggetti di una vita? O rimetterli dentro, quegli oggetti di una vita? Mancava il senso del muovere e rimuovere le cose, gli affetti, i sentimenti.
Chiusa parentesi. Dicevo che dall’entrata di Emilia in scena, come un vento di amore/odio, tutto si sfascia, vengono fuori le pecche, le incomprensioni, nessuno sembra più felice, tuttavia, si sforza di mostrarsi tale.

Come una serpe, volontariamente o involontariamente, sparge quel suo Mi amor…mi amor ma è un veleno, un bisogno di aggrapparsi a cose che non sono più come una volta, di sentirsi “madre”, di poter contare ancora. La moglie Caro, Adriana Ferrer e il figlio Leo, Francisco Lumerman, assistono basiti, a volte annoiati, sorpresi da questo regredire all’infanzia di Walter, interpretato da Carlos Portaluppi. Ma lo stesso accettano che Emilia rimanga, forse per pietà, forse per debolezza. Non è chiaro.
Anche la figura dell'ex marito di Caro, viene fuori all'improvviso e se ne va all'improvviso, l'unico merito è di avere fatto scattare una reazione in Walter che gli spiega cosa significa essere veramente padre e marito.
Una vicenda tutto sommato già vista, Emilia parte bene ma poi si ripete, come tutto il resto, con dialoghi troppo quotidiani che non prendono il volo, rasentando la noia e il déjà vu.
Manca la catarsi finale, Caro che se ne va anche lei all’improvviso rappresenta un piccolo insignificante dramma in una mancanza totale di dramma. Perché non si può pensare che le nostre vicende personali siano così importanti da interessare tutti, a meno che non si innalzino da terra e spicchino il volo, sulle ali della poesia e non della banale, a volte insignificante realtà.
E' vero che troppo amore può nuocere gravemente alla salute.

Daria D.


EMILIA scritto e diretto da Claudio Tolcachir
con Elena Boggan, Gabo Correa, Adriana Ferrer, Francisco Lumerman e Carlos Portaluppi
scenografie e assistente regia Gonzalo Córdoba Estevez
disegno luci Ricardo Sica
produzione Timbre 4
in coproduzione con Centro Cultural San Martin de Buenos Aires e Festival Santiago a Mil, Cile
in collaborazione con Teatro Pubblico Pugliese, in collaborazione con SIA Società Italia-Argentina
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
Foto di scena Gustavo Pascaner
Spettacolo in lingua spagnola con sovra-titoli in italiano


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