Piccolo
Teatro Grassi, Milano. Dal 9 al 19 aprile 2015
Mi
amor, mi amor, mi amor… quante volte, come una litania, sentiamo
queste parole uscire dalla bocca di Emilia, la tata ritrovata, la
niňera di Walter, e man mano che le sentiamo, perdono di
significato, diventando solo un’ ossessione, un’abitudine a
ripetere, perdendo forza e significato. Tanto che anche Emilia,
interpretata da Elena Boggan, il cui volto, bello ed espressivo è
più adatto a primi piani cinematografici che alla distanza teatrale,
ci piace sempre meno, con i suoi ricordi stucchevoli, l’attaccamento
morboso a quel bambino che lei ha allattato tanto tempo prima e di
cui sa tutto, molto di più di quello che sa sua moglie Caro. Tra
Emilia e Walter il virtuale cordone ombelicale non si è mai
spezzato, con il rischio di strangolarli, tra ricordi e dipendenza
affettiva.
Mi
amor...mi amor... alla fine suona falso, forzato, anche se piangono
uno nelle braccia dell’altro, carezzandosi, guardandosi negli
occhi, come se Walter fosse rimasto il bambino timido e poco dotato
che era, e lei, la sua “mamma/padrona”, quella che sa, che
giudica, che punisce, che loda, perché in nome dell’amore tutto è
possibile… anche uccidere.
Dalla
sua entrata nella casa di Walter, una casa ancora sottosopra per via
del trasloco e qui apro una parentesi: perché non aver messo sulla
scena scatoloni di tante dimensioni, oltre al resto che abbiamo
visto, un po’ troppo ordinato, da cui far uscire gli oggetti di una
vita? O rimetterli dentro, quegli oggetti di una vita? Mancava il
senso del muovere e rimuovere le cose, gli affetti, i sentimenti.
Chiusa
parentesi. Dicevo che dall’entrata di Emilia in scena, come un
vento di amore/odio, tutto si sfascia, vengono fuori le pecche, le
incomprensioni, nessuno sembra più felice, tuttavia, si sforza di
mostrarsi tale.
Come
una serpe, volontariamente o involontariamente, sparge quel suo Mi
amor…mi amor ma è un veleno, un bisogno di aggrapparsi a cose che
non sono più come una volta, di sentirsi “madre”, di poter
contare ancora. La moglie Caro, Adriana Ferrer e il figlio Leo,
Francisco Lumerman, assistono basiti, a volte annoiati, sorpresi da
questo regredire all’infanzia di Walter, interpretato da Carlos
Portaluppi. Ma lo stesso accettano che Emilia rimanga, forse per
pietà, forse per debolezza. Non è chiaro.
Anche
la figura dell'ex marito di Caro, viene fuori all'improvviso e se ne
va all'improvviso, l'unico merito è di avere fatto scattare una
reazione in Walter che gli spiega cosa significa essere veramente
padre e marito.
Una
vicenda tutto sommato già vista, Emilia parte bene ma poi si ripete,
come tutto il resto, con dialoghi troppo quotidiani che non prendono
il volo, rasentando la noia e il déjà vu.
Manca
la catarsi finale, Caro che se ne va anche lei all’improvviso
rappresenta un piccolo insignificante dramma in una mancanza totale
di dramma. Perché non si può pensare che le nostre vicende
personali siano così importanti da interessare tutti, a meno che non
si innalzino da terra e spicchino il volo, sulle ali della poesia e
non della banale, a volte insignificante realtà.
E'
vero che troppo amore può nuocere gravemente alla salute.
Daria
D.
EMILIA
scritto e diretto da Claudio Tolcachir
con Elena
Boggan, Gabo Correa, Adriana Ferrer, Francisco Lumerman e Carlos
Portaluppi
scenografie e assistente regia Gonzalo Córdoba Estevez
scenografie e assistente regia Gonzalo Córdoba Estevez
disegno
luci Ricardo Sica
produzione Timbre 4
in coproduzione con Centro Cultural San Martin de Buenos Aires e Festival Santiago a Mil, Cile
in collaborazione con Teatro Pubblico Pugliese, in collaborazione con SIA Società Italia-Argentina
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
produzione Timbre 4
in coproduzione con Centro Cultural San Martin de Buenos Aires e Festival Santiago a Mil, Cile
in collaborazione con Teatro Pubblico Pugliese, in collaborazione con SIA Società Italia-Argentina
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
Foto
di scena Gustavo Pascaner
Spettacolo
in lingua spagnola con sovra-titoli in italiano
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