A
Roma, ma sicuramente anche in tante altre città, esiste un folto
sottobosco costituito da realtà artistiche fuori da ogni logica
commerciale, che il più delle volte si nutrono della loro stessa
produzione, felici di offrire emozioni a pochi intimi. Da tempo mi
ero ripromesso di seguire dal vivo la performance di un personaggio
interessante, Giuseppe Mincuzzi, conosciuto nella capitale come “Er
poeta metropolitano”.
Appellativo quanto mai calzante, perché con lui si riscoprono antichi sentori di una città come Roma, eternamente in bilico tra un passato in via (aimè) di estinzione ed un presente incattivito, piuttosto grigio, che annaspa tra neologismi ridicoli e rapporti umani virtuali. Io come voi è un piccolo viaggio, una pennellata intrisa di ricordi e rabbia, di poesie e insofferenze. Nel piccolo, delizioso spazio della galleria d’arte Coronari Off, che intelligentemente coniuga arte pittorica, musica e teatro, nella sera del 15 aprile Mincuzzi accoglie il suo affezionato pubblico raccontandosi, e con lui racconta la sua città, tanto cambiata da indurre alla fuga, eppure così tanto amata. La serata scorre tra racconti “di strada”, poesie (moderne e belle), simpatici rap e completa interazione (forse troppa) con gli spettatori. Ad accompagnarlo, sul palco, la magica tromba del Maestro Miguel Jimènez Diaz. Dall’infanzia alla Garbatella, che negli anni 60 non era certo il quartiere “in” di oggi, la vita in borgata, il rispetto da offrire e conquistare, è tutto uno scorrere veloce, a tratti confusionario, sulla sua concezione della vita. Ironico, sarcastico, veracemente sboccato. A sottolineare i vari passaggi, la musica e le sue bellissime poesie, che meriterebbero più spazio. Da quella dedicata all’amata sorella, a “Cecilia”, ai suoi cavalli di battaglia come “lettera a babbo natale” e “tetto fatto di stelle”. Lo spettacolo pecca della mancanza di una regia adeguata, che in alcuni momenti genera confusione, anche per l’eccessiva ingerenza di un pubblico particolarmente indisciplinato, ma stiamo parlando comunque di una realtà amatoriale, che meriterebbe però maggiore attenzione. Sul palco e in platea.
Appellativo quanto mai calzante, perché con lui si riscoprono antichi sentori di una città come Roma, eternamente in bilico tra un passato in via (aimè) di estinzione ed un presente incattivito, piuttosto grigio, che annaspa tra neologismi ridicoli e rapporti umani virtuali. Io come voi è un piccolo viaggio, una pennellata intrisa di ricordi e rabbia, di poesie e insofferenze. Nel piccolo, delizioso spazio della galleria d’arte Coronari Off, che intelligentemente coniuga arte pittorica, musica e teatro, nella sera del 15 aprile Mincuzzi accoglie il suo affezionato pubblico raccontandosi, e con lui racconta la sua città, tanto cambiata da indurre alla fuga, eppure così tanto amata. La serata scorre tra racconti “di strada”, poesie (moderne e belle), simpatici rap e completa interazione (forse troppa) con gli spettatori. Ad accompagnarlo, sul palco, la magica tromba del Maestro Miguel Jimènez Diaz. Dall’infanzia alla Garbatella, che negli anni 60 non era certo il quartiere “in” di oggi, la vita in borgata, il rispetto da offrire e conquistare, è tutto uno scorrere veloce, a tratti confusionario, sulla sua concezione della vita. Ironico, sarcastico, veracemente sboccato. A sottolineare i vari passaggi, la musica e le sue bellissime poesie, che meriterebbero più spazio. Da quella dedicata all’amata sorella, a “Cecilia”, ai suoi cavalli di battaglia come “lettera a babbo natale” e “tetto fatto di stelle”. Lo spettacolo pecca della mancanza di una regia adeguata, che in alcuni momenti genera confusione, anche per l’eccessiva ingerenza di un pubblico particolarmente indisciplinato, ma stiamo parlando comunque di una realtà amatoriale, che meriterebbe però maggiore attenzione. Sul palco e in platea.
Echi
metropolitani, sensazioni pervase di rabbia e nostalgia, come nel suo
libro “Vorei li negozzi come quello de Walter”, di qualche anno
fa, uno spaccato delizioso su una città che stanno facendo sparire.
Io come voi è l’invito, come ci dice “Er poeta metropolitano”,
a tirare fuori la poesia che è in noi, a emozionarsi ancora, a non
lasciarsi travolgere dal grigio piattume che avanza.
Paolo
Leone
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