29 aprile, 2015

“La cantatrice calva” di Eugène Ionesco. Di Daria D.



Teatro Manzoni, Milano. 27, 28, 29 aprile 2015

“… a proposito, e la cantatrice calva?” chiede Diego Parassole, che ha il ruolo del pompiere, imbottigliato in una bella divisa rossa, sembra un estintore,  sempre in cerca di qualche fuoco da spegnere. E nemmeno in casa degli Smith lo troverà, visto che  l’unico  fuoco che arde  è del camino elettrico. Poveretto!
“… si pettina sempre allo stesso modo” risponde la signora Smith,  Roberta Petrozzi,  borghese e petulante, elegante e altera, con un aplomb che non fa una piega, come se le avesse chiesto  la cosa più normale del mondo.
E poco importa che la cantatrice calva non compaia mai, che il pompiere spenga fuochi di paglia  e bruciori di stomaco, che i Martin, l’altra coppia interpretata da Max Pisu e Stefania Pepe, attraverso bizzarre coincidenze scoprano di essere sposati, che la cameriera Mary  annunci d’emblée  che si è“comprata un vaso da notte”, che le parole siano, dall’inizio alla fine, ma c’è un inizio? E c’è una fine?, assurde e surreali, senza capo né coda, eppure c’è un capo e c’è una coda, perché  l’umorismo è  assolutamente assicurato, già dal 1950, data della prima messa in scena, che lasciò però gli spettatori assai perplessi, naturalmente. Come si conviene ad ogni opera che abbia il coraggio di stravolgere gli schemi cui il pubblico borghese è abituato.
Genesi dell’opera: Ionesco, rumeno di nascita, ma naturalizzato francese, decise di imparare l’inglese e si comprò un manuale di conversazione, accorgendosi a poco a poco della banalità delle frasi come “il soffitto è in alto, il pavimento in basso”.  Nacque così l’anticommedia “La cantatrice calva”, con le sue battute che ribaltano la realtà, ironiche e illogiche,  tirate a lucido e ordinate, come l’appartamento degli Smith, che nella regia di Marco Rampoldi assume colori psichedelici come pure i costumi, inventivi e ardimentosi, ma dietro cui si nasconde il vuoto delle convenzioni, il contrasto tra forma e contenuto, la banalità e l’ovvietà del rassicurante quotidiano, dei comportamenti borghesi, degli stereotipi ed ipocrisie cui siamo bombardati.
Tutto gira alla velocità di un nonsense dietro l’altro, anche grazie alla bravura degli interpreti, affiatati comici e amici, in questa “serata inglese”, esempio eclatante di teatro dell’assurdo, dove la realtà diventa il suo contrario, i cosiddetti “convenevoli”  rivelano l’incapacità di stabilire un vero ascolto, sincero e partecipato tra gli esseri umani. E quando la scena si apre con la signora Smith che fuma la sua sigaretta elettronica e parla di patate, lardo,  cipolle,  mentre il marito, Leonardo Manera la cui stupefatta  impassibile im-possibile recitazione è diventata la sua maschera espressiva, legge il giornale “lottando” con giochi di parole, enigmi e altri passatempi cervellotici, capiamo la distanza tra i due, che di lì a poco verrà “riempita” e allungata  da altre distanze che entreranno in scena, anzi  in casa, simboli di ulteriori deprimenti superficiali  personalità.
Ma attenzione spettatore! Se presti bene attenzione a quel che ti appare  apparentemente senza senso, scoprirai verità importanti sulla condizione umana, sul matrimonio, sulle regole della società, sulla famiglia, su tutto ciò che ti circonda e magari,  nella poltroncina di velluto rosso, accanto alla tua, riuscirai perfino a vedere, per una “curiosa, curiosissima, incredibilmente curiosa circostanza”, una cantatrice calva che si sta pettinando, senza pettine... Daglielo tu...

Daria D.


La cantatrice calva di Eugène Ionesco
Regia di Marco Rampoldi
Personaggi e interpreti:  Sig. Smith – LEONARDO MANERA; Sig.ra Smith – ROBERTA PETROZZI
 Sig. Martin – MAX PISU;  Sig.ra Martin – STEFANIA PEPE
La Cameriera – MARTA MARANGONI; Capitano dei Pompieri – DIEGO PARASSOLE
Scena Mattia Bordoni - Costumi Luciana Malacarne - Regista assistente Paola Ornati
Associazione CANORA  e  TEATRO DELLA COOPERATIVA

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