Piccolo
Teatro Strehler, Milano. Dal 14 al 19 aprile 2015
Un
inizio strepitoso con “Napule” di Mimmo Borrelli del 2011,
sussurrata, declamata, avviluppata, scartata, dilaniata da Toni
Servillo, parole che si sgranano come i chicchi di un rosario, le
grida di uno strillone, oppure una litania poetica sulla sua, e anche
nostra, Napoli. Napoli “che spara… s’accuntent, brava gente,
senza fatica, terra mia, senza ‘ddio, c’a canta, sempre in
guerra, senza speranza, r’ammore…” e anche se non capiamo
tutto, ogni dialetto italiano è una lingua incomprensibile per chi
è di un’ altra regione, ne cogliamo il senso, la bellezza,
l’espressività, i barocchismi, i girotondi di parole. E tutto
questo, grazie alla bravura e alla passione dei Servillo, che cantano
e recitano senza sosta, accompagnati dalle musiche del meraviglioso
Solis String Quartet e allora ci sembra di vedere il sole di Napoli
illuminare biancheria, spazzatura, sorrisi, lungomare, teatranti,
guaglioni, femminielli, cantastorie.
E
quando Peppe intona “sotto il sole cocente nun voglio fa’
niente” e poi sotto la “luna lucente nun voglio fa’ niente”,
canzone scritta da Libero Bovio e e Nicola Valente nel 1913, anche
noi ci lasciamo andare a quel “far niente”, prendendo una pausa
da questo mondo indaffarato e distratto, tecnologico e disperato,
lasciandoci cullare dallo spettacolo. E allora tanto meglio la
disperazione che sta dentro una canzone napoletana, il fatalismo di
cui ne è impregnata, la sua lentezza e dolcezza, l'ironia e la
complessità, e che si trasforma di volta in volta in serenata per
l'amante, filastrocca per bambini, preghiera per un ritorno,
confessione, “guapparia”.
Un
repertorio che spazia da “L’ommo sbagliato” di Raffaele Viviani
a “Sconcerto” di Giorgio Battistelli, da ‘A casciaforte” di
Alfonso Mangione e Nicola Valente a “Cose sta lengua sperduta” di
Michele Sovente. E stupende, per la loro comicità, e profonda verità
le parole di “Vincenzo De Pretore” scritte da Eduardo De Filippo,
il mariuolo che parla con S. Giuseppe. Le canzoni che Peppe
interpreta con quel suo modo particolare di muoversi, come un
ballerino della parola, che si destreggia tra suoni, emozioni,
luci, passioni sono l’anima di Napoli, che ognuno di noi fa sua,
anche se di Napoli non è.
E
i due fratelli, affiatati e bravi alla stessa maniera, si divertono e
divertono, e come in un gioco di prestidigitazione fanno uscire dal
cilindro quelle “voci di dentro” che fanno parte della tradizione
partenopea, riempiendo la sala, i nostri cuori, sfociando infine in
applausi interminabili, per tutta la bellezza di cui ci siamo
nutriti, per un’ora e 45 minuti e, speriamo, anche oltre.
Daria
D.
Ritratto
di Napoli in prosa, versi e musica
insieme
ai Solis String Quartet
Vincenzo
Di Donna violino
Luigi
Di Maio violino
Gerardo
Morrone viola
Antonio
Di Francia violoncello
produzione
Teatri Uniti di Napoli
Bella recensione, appassionata!!
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