Empedocle raffigurato nelle Cronache di Norimberga |
Quante
volte – soprattutto in filosofia – abbiamo sentito parlare di
“Retorica”, ovvero l’arte del persuadere attraverso il
discorso; un’arte in cui vengono trattati specifici argomenti
riconducibili al ragionamento; un mezzo che non è appartenente a
personalità possedenti una specializzazione. La retorica, come
sostiene Olivier Reboul nel suo testo “Introduzione alla retorica”,
è: “Anteriore a qualsiasi storia, perché gli uomini si sono
serviti del linguaggio per persuadere”. Nella politica, nel
commercio, nell’aiuto alla persona… essa appartiene ad ogni
singolo individuo e di conseguo non dobbiamo pensare che sia nata in
un luogo specifico.
È
chiaro che però l’essere umano ha fondato una teoria e una
tecnica. Attraverso i greci essa veniva insegnata non come utile
sapere tecnico, val a dire in quanto riflessione mirante a
comprenderne il senso .
Trovarlo
non è forse facile, perché si tratta di un argomento complesso; in
ogni modo si può sostenere che la nascita di una teoria e di tecnica
retorica sia connessa ai bisogni umani per poter costruire un
discorso volto alla comprensione.
La
retorica la troviamo in diversi ambiti, come quello per affrontare
questioni giudiziarie. Parliamo quindi di “retorica giudiziaria”,
che non è nata ad Atene, bensì nella Sicilia ellenica intorno al
465 a. C., dopo l’espulsione dei tiranni (in quel tempo non
esistevano gli avvocati, tale ruolo era assunto da filosofi); mandati
via questi, i cittadini che erano stati derubati reclamarono i loro
beni; la guerra civile fu seguita quindi proprio da innumerevoli
contese giudiziarie e fu indispensabile costruire dei mezzi per saper
difendere la propria causa. Un certo Corace, allievo del filosofo
Empedocle, pubblicò un’Arte Oratoria (Techne Rhetorike), raccolta
di precetti pratici accompagnati da esempi a uso delle persone
coinvolte in controversie giudiziarie. Qui dove i contendenti
facevano ricorso a dei logografi che redigevano le arringhe
difensive, che poi venivano letti nei tribunali. Poiché i Greci
intrattenevano rapporti stretti con la Sicilia, Atene adottò
immediatamente la retorica. In questo contesto probabilmente la
retorica venne adottata anche per aiutare le persone che vivevano dei
momenti precari e dei disagi. Gli stessi sofisti hanno fondato la
retorica su una propria visione del mondo; avevano una propria
visione del mondo assoluta, ammettevano solamente il loro sapere –
non ne esistevano altri. Attenzione, parlo di personalità della
filosofia che si concentravano molto sull’importanza della
comunicazione occupandosi di “pragmatica della comunicazione”,
intesa come aspetto importante per persuadere; intesa prima ancora
come aspetto che fa emergere le proprie credenze, il proprio stato
morale, d’animo e di demoralizzazione. Essi, come altri filosofi a
loro contemporanei, avevano bene conoscenza che un effetto
comunicativo influenza il comportamento umano e le loro credenze,
inoltre sapevano che la comunicazione è efficace nel modificare il
comportamento, che rappresenta anche un mezzo di comunicazione. I
sofisti erano molto autoritari, cioè imponevano il loro sapere e la
condotta dell’uomo, ove la retorica non era più un’arte di
persuasione ma l’arte dell’imporre, una realtà, una credenza e
una visione.
Se
noi sperimentassimo il metodo della retorica sofistica nella
consulenza – di qualunque natura – noteremmo innanzi tutto che
nel persuadere l'individuo lo condurremmo a divenire quello che noi
decidiamo che egli divenga, che pensi quello che noi pensiamo e non
gli consentiremmo di sviluppare ed elaborare un proprio pensiero. Ciò
rende la retorica illegittima, poiché la vera retorica deve servire
come un processo in cui il singolo sviluppi ed elabori un proprio
pensiero. Per tale ragione, i sofisti non erano condivisi da Socrate,
che pensava che in ogni comportamento, comunicazione, dialogo o
argomentazione vi era sempre da scoprire, che non poteva esistere un
sapere assoluto e che ogni singolo sapere ha una sua importante
dignità, che bisogna rispettare; inoltre Socrate puntava alla
stimolazione della creatività del singolo individuo, che doveva
sviluppare la propria facoltà di pensare. Una visione non può
essere assoluta, perché così non si stimola l’essere umano alla
creatività e se si smettendo di procedere verso tale stimolo si
diviene più fragili, non si affrontano le situazioni, non si pensa a
come costruire il presente. Se noi abbiamo una determinata visione e
non ammettiamo un altro possibile sapere ci allontaniamo da noi
stessi, dagli altri, dall'umanità; i sentimenti vanno presi in
considerazione e custoditi, se si incatenano non argomentiamo più.
Questa è la mia interpretazione sulla scuola dei sofisti intesa come
attività d’aiuto alla persona. Una interpretazione e visione che
mi pone come una personalità che non condivide i sofisti e che si
sente più vicina a Socrate, perché attraverso il suo “tirar
fuori” si procedeva non solo a tirar fuori quello che si tiene
dentro (questo lo facevano anche i sofisti), ma allo stesso tempo si
orientava l’interlocutore a tirar fuori anche le soluzioni
attraverso l’argomentazione, si attivava un processo di formazione
e realizzazione di sé. Un processo in cui l’uomo si educava ad
avere cura di sé e della sua vita, di essere capace a divenire
esseri capaci di sviluppare ad ogni momento un altro modo di pensare.
Con i sofisti questo non era possibile e la retorica diveniva
illegittima, poiché, come dice Reboul, essa è l’arte del trovare
tutto ciò che ogni singolo caso comporta di persuasivo.
Applicando
la retorica sofistica nella consulenza di qualsiasi tipo è molto
pericoloso, non diviene un gioco di piacere in cui due persone
argomentano, bensì un gioco pericoloso, perché fa rivivere delle
emozioni drammatiche argomentate non in modo profondo e strategico,
bensì sintetico. In tal senso può sembrare che io stia affermando
che la retorica dei sofisti – come applicazione di consulenza
d’aiuto alla persona - sia nulla, inutile e non efficace. No, non
intendo sostenere questo, al contrario sostengo che anch’essa è
importante e fondamentale per la consulenza, ma non in tutti casi.
Non è applicabile in ogni individuo ed è applicabile fino a un
certo livello e va contestualizzata alla situazione. Inoltre
evidenzio che i sofisti erano dei grandi educatori e il loro
legittimo obiettivo era quello di fare del bene: rendere l’uomo
capace di governare se stesso e il suo cammino esistenziale; in
un’esistenza in cui non vi sono approcci utili o inutili, non
esiste l’inutilità, ogni cosa è utile e importante. In fin dei
conti credo che una consulenza non si debba basare sulla facoltà di
imporre, ma sulla formazione creativa e dignitosa della persona.
Questa è una mia visione personale in un mondo democratico in cui
ognuno può ben dire benissimo la sua. Infine, da personalità con
molta dignità, come tutte, affermo (come sempre): “al di là di
ogni pensiero contano i risultati duraturi del tempo”.
Giuseppe
Sanfilippo
Giuseppe sei una persona meravigliosa, di grande nobiltà, umiltà e dignità unica. Sei il psicologo - psicoterapeutica che ogni psicologo - psicoterapeutica dovrebbe essere. Non lo sei e nessuno di loro non sanno che grande collega avrebbero.
RispondiEliminaNon sei un psicologo - psicoterapeutica ma sei un grande filosofo di quelli che oggi abbiamo tanto bisogno. Walter
ti dici "filosofo consulente" ma sei un psicoterapeutica nato. Grande dottore Giuseppe Sanfilippo
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