20 aprile, 2015

La retorica sofistica come attività di consulenza alla persona. Di Giuseppe Sanfilippo


Empedocle raffigurato nelle Cronache di Norimberga
Quante volte – soprattutto in filosofia – abbiamo sentito parlare di “Retorica”, ovvero l’arte del persuadere attraverso il discorso; un’arte in cui vengono trattati specifici argomenti riconducibili al ragionamento; un mezzo che non è appartenente a personalità possedenti una specializzazione. La retorica, come sostiene Olivier Reboul nel suo testo “Introduzione alla retorica”, è: “Anteriore a qualsiasi storia, perché gli uomini si sono serviti del linguaggio per persuadere”. Nella politica, nel commercio, nell’aiuto alla persona… essa appartiene ad ogni singolo individuo e di conseguo non dobbiamo pensare che sia nata in un luogo specifico.
È chiaro che però l’essere umano ha fondato una teoria e una tecnica. Attraverso i greci essa veniva insegnata non come utile sapere tecnico, val a dire in quanto riflessione mirante a comprenderne il senso .
Trovarlo non è forse facile, perché si tratta di un argomento complesso; in ogni modo si può sostenere che la nascita di una teoria e di tecnica retorica sia connessa ai bisogni umani per poter costruire un discorso volto alla comprensione.
La retorica la troviamo in diversi ambiti, come quello per affrontare questioni giudiziarie. Parliamo quindi di “retorica giudiziaria”, che non è nata ad Atene, bensì nella Sicilia ellenica intorno al 465 a. C., dopo l’espulsione dei tiranni (in quel tempo non esistevano gli avvocati, tale ruolo era assunto da filosofi); mandati via questi, i cittadini che erano stati derubati reclamarono i loro beni; la guerra civile fu seguita quindi proprio da innumerevoli contese giudiziarie e fu indispensabile costruire dei mezzi per saper difendere la propria causa. Un certo Corace, allievo del filosofo Empedocle, pubblicò un’Arte Oratoria (Techne Rhetorike), raccolta di precetti pratici accompagnati da esempi a uso delle persone coinvolte in controversie giudiziarie. Qui dove i contendenti facevano ricorso a dei logografi che redigevano le arringhe difensive, che poi venivano letti nei tribunali. Poiché i Greci intrattenevano rapporti stretti con la Sicilia, Atene adottò immediatamente la retorica. In questo contesto probabilmente la retorica venne adottata anche per aiutare le persone che vivevano dei momenti precari e dei disagi. Gli stessi sofisti hanno fondato la retorica su una propria visione del mondo; avevano una propria visione del mondo assoluta, ammettevano solamente il loro sapere – non ne esistevano altri. Attenzione, parlo di personalità della filosofia che si concentravano molto sull’importanza della comunicazione occupandosi di “pragmatica della comunicazione”, intesa come aspetto importante per persuadere; intesa prima ancora come aspetto che fa emergere le proprie credenze, il proprio stato morale, d’animo e di demoralizzazione. Essi, come altri filosofi a loro contemporanei, avevano bene conoscenza che un effetto comunicativo influenza il comportamento umano e le loro credenze, inoltre sapevano che la comunicazione è efficace nel modificare il comportamento, che rappresenta anche un mezzo di comunicazione. I sofisti erano molto autoritari, cioè imponevano il loro sapere e la condotta dell’uomo, ove la retorica non era più un’arte di persuasione ma l’arte dell’imporre, una realtà, una credenza e una visione.

Se noi sperimentassimo il metodo della retorica sofistica nella consulenza – di qualunque natura – noteremmo innanzi tutto che nel persuadere l'individuo lo condurremmo a divenire quello che noi decidiamo che egli divenga, che pensi quello che noi pensiamo e non gli consentiremmo di sviluppare ed elaborare un proprio pensiero. Ciò rende la retorica illegittima, poiché la vera retorica deve servire come un processo in cui il singolo sviluppi ed elabori un proprio pensiero. Per tale ragione, i sofisti non erano condivisi da Socrate, che pensava che in ogni comportamento, comunicazione, dialogo o argomentazione vi era sempre da scoprire, che non poteva esistere un sapere assoluto e che ogni singolo sapere ha una sua importante dignità, che bisogna rispettare; inoltre Socrate puntava alla stimolazione della creatività del singolo individuo, che doveva sviluppare la propria facoltà di pensare. Una visione non può essere assoluta, perché così non si stimola l’essere umano alla creatività e se si smettendo di procedere verso tale stimolo si diviene più fragili, non si affrontano le situazioni, non si pensa a come costruire il presente. Se noi abbiamo una determinata visione e non ammettiamo un altro possibile sapere ci allontaniamo da noi stessi, dagli altri, dall'umanità; i sentimenti vanno presi in considerazione e custoditi, se si incatenano non argomentiamo più. Questa è la mia interpretazione sulla scuola dei sofisti intesa come attività d’aiuto alla persona. Una interpretazione e visione che mi pone come una personalità che non condivide i sofisti e che si sente più vicina a Socrate, perché attraverso il suo “tirar fuori” si procedeva non solo a tirar fuori quello che si tiene dentro (questo lo facevano anche i sofisti), ma allo stesso tempo si orientava l’interlocutore a tirar fuori anche le soluzioni attraverso l’argomentazione, si attivava un processo di formazione e realizzazione di sé. Un processo in cui l’uomo si educava ad avere cura di sé e della sua vita, di essere capace a divenire esseri capaci di sviluppare ad ogni momento un altro modo di pensare. Con i sofisti questo non era possibile e la retorica diveniva illegittima, poiché, come dice Reboul, essa è l’arte del trovare tutto ciò che ogni singolo caso comporta di persuasivo.
Applicando la retorica sofistica nella consulenza di qualsiasi tipo è molto pericoloso, non diviene un gioco di piacere in cui due persone argomentano, bensì un gioco pericoloso, perché fa rivivere delle emozioni drammatiche argomentate non in modo profondo e strategico, bensì sintetico. In tal senso può sembrare che io stia affermando che la retorica dei sofisti – come applicazione di consulenza d’aiuto alla persona - sia nulla, inutile e non efficace. No, non intendo sostenere questo, al contrario sostengo che anch’essa è importante e fondamentale per la consulenza, ma non in tutti casi. Non è applicabile in ogni individuo ed è applicabile fino a un certo livello e va contestualizzata alla situazione. Inoltre evidenzio che i sofisti erano dei grandi educatori e il loro legittimo obiettivo era quello di fare del bene: rendere l’uomo capace di governare se stesso e il suo cammino esistenziale; in un’esistenza in cui non vi sono approcci utili o inutili, non esiste l’inutilità, ogni cosa è utile e importante. In fin dei conti credo che una consulenza non si debba basare sulla facoltà di imporre, ma sulla formazione creativa e dignitosa della persona. Questa è una mia visione personale in un mondo democratico in cui ognuno può ben dire benissimo la sua. Infine, da personalità con molta dignità, come tutte, affermo (come sempre): “al di là di ogni pensiero contano i risultati duraturi del tempo”.

Giuseppe Sanfilippo  

2 commenti:

  1. Giuseppe sei una persona meravigliosa, di grande nobiltà, umiltà e dignità unica. Sei il psicologo - psicoterapeutica che ogni psicologo - psicoterapeutica dovrebbe essere. Non lo sei e nessuno di loro non sanno che grande collega avrebbero.
    Non sei un psicologo - psicoterapeutica ma sei un grande filosofo di quelli che oggi abbiamo tanto bisogno. Walter

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  2. ti dici "filosofo consulente" ma sei un psicoterapeutica nato. Grande dottore Giuseppe Sanfilippo

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