Roma, Teatro Kopò (via
Vestricio Spurinna 47/49) fino al 10 maggio 2015
Chiude nel migliore dei modi
la seconda stagione ufficiale del piccolo Teatro Kopò, con uno spettacolo
interessantissimo, “come del resto” molti di quelli andati in scena sul
palcoscenico di Via Spurinna. Un altro giovane autore/attore, Alessio Zambardi
(Fringe Festival 2014) ci ha dimostrato come si possano scrivere testi
intelligenti, colti, senza annoiare il pubblico. Il suo monologo,
piacevolissimo anche nella regia (di Marta Pagioni) , è un viaggio nella storia
ma non solo. Arriva addirittura ai primordi, quando l’uomo ancora non
esisteva e l’autentico linguaggio
universale era (ed è) quello del miracolo della natura dal punto di vista di un
atomo di carbonio. Ma soprattutto è un lucido viaggio sull’importanza di questo
come ricerca della felicità, sulla necessità/dannazione umana di dover essere
sempre in movimento per illudersi di poterla almeno cercare.
Sulla paura che abbiamo della felicità, su quanto sia difficile coglierla nel presente mentre rimpiangiamo quella passata e aspiriamo a quella futura. Da questo assunto parte il percorso temporale del suo personaggio, sin dalla Genesi biblica in cui Adamo ed Eva, forse, non sono stati cacciati dall’Eden per punizione ma per fargli capire che stando fermi negli agi non si arriverà mai alla felicità (ma avranno imparato la lezione?), fino ad arrivare all’Odissea e ad Ulisse, che forse tutto questo genio di furbizia non era. Ispirato ad un racconto di Primo Levi, il personaggio in scena attraversa il tempo, dissertando brillantemente e citando esempi calzanti (dai cartoni a Dostoevskij, alla storia moderna) per sostenere le sue tesi, a cui non è semplice dar torto.
Sulla paura che abbiamo della felicità, su quanto sia difficile coglierla nel presente mentre rimpiangiamo quella passata e aspiriamo a quella futura. Da questo assunto parte il percorso temporale del suo personaggio, sin dalla Genesi biblica in cui Adamo ed Eva, forse, non sono stati cacciati dall’Eden per punizione ma per fargli capire che stando fermi negli agi non si arriverà mai alla felicità (ma avranno imparato la lezione?), fino ad arrivare all’Odissea e ad Ulisse, che forse tutto questo genio di furbizia non era. Ispirato ad un racconto di Primo Levi, il personaggio in scena attraversa il tempo, dissertando brillantemente e citando esempi calzanti (dai cartoni a Dostoevskij, alla storia moderna) per sostenere le sue tesi, a cui non è semplice dar torto.
E se la troviamo, questa
felicità? Dovremmo accarezzarla, ci dice il nostro, godercela un po’ e poi lasciarla
volare via. Perché, citando Francesco De Gregori,” come del resto alla fine di un viaggio c’è sempre un viaggio da
ricominciare”. Monologo intenso, ben scritto, e rappresentato con bella
presenza scenica. La cultura si diffonde anche col sorriso e questo spettacolo
ne è la prova.
Paolo
Leone
“Come del resto alla fine di un viaggio”, di e
con Alessio Zambardi. Regia di Marta Paglioni.
Si ringrazia l’ufficio
stampa del teatro nella persona di Rocchina Ceglia.
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