L’ultimo film di Sorrentino,
presentato a Cannes, inizia con “You’ve got the love" della band britannica Florence and the Machine. “Youth-La
giovinezza” racconta – in “soli” 118 minuti – la storia di persone di una certa
età che, dopo aver raggiunto successi e una favorevole condizione economica, sono
“in ostaggio della loro apatia” e trascorrono le giornate in un hotel ultra
lusso. Un notevole schiaffo morale all’attuale situazione italiana, insomma.
Certo, è un film non dimentichiamocelo.
Michael Caine e Harvey
Keitel sono i protagonisti di questa storia: rispettivamente, Fred è un ex
direttore d’orchestra e Mick un regista. Il primo convinto di non voler più
lavorare, il secondo pronto a far uscire il suo prossimo “film-testamento”. Sorrentino questa volta va addirittura oltre:
è capace di non raccontare nulla di concreto per la durata di cento minuti e di
far comprendere il senso della sua opera solo negli ultimi quindici minuti; un
talento, non c’è che dire. “Youth” per un’ora e più è semplicemente una
rappresentazione audio visuale con le splendide immagini del magistrale Luca
Bigazzi (ancora una volta direttore della fotografia in un film di Sorrentino),
un miscuglio di generi musicali più o meno solenni e parole, talvolta profonde,
talvolta insignificanti.
Ne La grande bellezza il regista mostrava la donna come un’emerita
imbecille; in Youth la donna è solo
un corpo splendido; dunque il messaggio misogino è confermato. Non c’è cervello
che tenga: se l’uomo la sceglie è perché è brava a letto. Anche l’attrice
Brenda Morel (Jane Fonda) è riuscita a fare carriera a furia di sfilare le
mutande ai produttori (sebbene senza di lei non sia possibile fare alcun film).
Stavolta c’è anche un insensato e offensivo incidente tra macchinine elettriche
di disabili a fare da coreografia; una scena tra il cattivo gusto e il nonsense. Inutile dire che siano chiari
i riferimenti pubblicitari, tra un prodotto del grossista di farmaci Symbio e una caramella che,
presumibilmente, è una Rossana il
regista non lascia scappar via nessuna occasione. Ci mette tutto nel calderone.
Proprio tutto.
Ci mette, e questa è vera
arte, anche almeno tre dei suoi film: Le
conseguenze dell’amore, This must be
the place e l’immancabile La grande
bellezza che – come si sa – è a sua volta la citazione di circa quattro
opere felliniane. È d’uopo annettere, però, che gli ultimi quindici minuti sono
davvero belli, intensi e interessanti: ci sono azioni, reazioni, emozioni. Ci
sono persone e non soubrette o
immagini vuote. “Il desiderio ci rende vivi” si dice. Ed è così. Fino
all’ultimo si spera che qualcosa cambi e sia donato all’astante, perché “le emozioni
son tutto quello che abbiamo” ed è doveroso non privarcene e non
approfittarsene.
Francesca
Saveria Cimmino
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