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31 maggio, 2015

Con “Youth” un salto di qualità: dalla citazione all’autocitazione! Di Francesca Saveria Cimmino


L’ultimo film di Sorrentino, presentato a Cannes, inizia con “You’ve got the love" della band britannica Florence and the Machine. “Youth-La giovinezza” racconta – in “soli” 118 minuti – la storia di persone di una certa età che, dopo aver raggiunto successi e una favorevole condizione economica, sono “in ostaggio della loro apatia” e trascorrono le giornate in un hotel ultra lusso. Un notevole schiaffo morale all’attuale situazione italiana, insomma. Certo, è un film non dimentichiamocelo.
Michael Caine e Harvey Keitel sono i protagonisti di questa storia: rispettivamente, Fred è un ex direttore d’orchestra e Mick un regista. Il primo convinto di non voler più lavorare, il secondo pronto a far uscire il suo prossimo “film-testamento”.  Sorrentino questa volta va addirittura oltre: è capace di non raccontare nulla di concreto per la durata di cento minuti e di far comprendere il senso della sua opera solo negli ultimi quindici minuti; un talento, non c’è che dire. “Youth” per un’ora e più è semplicemente una rappresentazione audio visuale con le splendide immagini del magistrale Luca Bigazzi (ancora una volta direttore della fotografia in un film di Sorrentino), un miscuglio di generi musicali più o meno solenni e parole, talvolta profonde, talvolta insignificanti.
Ne La grande bellezza il regista mostrava la donna come un’emerita imbecille; in Youth la donna è solo un corpo splendido; dunque il messaggio misogino è confermato. Non c’è cervello che tenga: se l’uomo la sceglie è perché è brava a letto. Anche l’attrice Brenda Morel (Jane Fonda) è riuscita a fare carriera a furia di sfilare le mutande ai produttori (sebbene senza di lei non sia possibile fare alcun film). Stavolta c’è anche un insensato e offensivo incidente tra macchinine elettriche di disabili a fare da coreografia; una scena tra il cattivo gusto e il nonsense. Inutile dire che siano chiari i riferimenti pubblicitari, tra un prodotto del grossista di farmaci Symbio e una caramella che, presumibilmente, è una Rossana il regista non lascia scappar via nessuna occasione. Ci mette tutto nel calderone. Proprio tutto.
Ci mette, e questa è vera arte, anche almeno tre dei suoi film: Le conseguenze dell’amore, This must be the place e l’immancabile La grande bellezza che – come si sa – è a sua volta la citazione di circa quattro opere felliniane. È d’uopo annettere, però, che gli ultimi quindici minuti sono davvero belli, intensi e interessanti: ci sono azioni, reazioni, emozioni. Ci sono persone e non soubrette o immagini vuote. “Il desiderio ci rende vivi” si dice. Ed è così. Fino all’ultimo si spera che qualcosa cambi e sia donato all’astante, perché “le emozioni son tutto quello che abbiamo” ed è doveroso non privarcene e non approfittarsene. 


Francesca Saveria Cimmino

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