L’Italia
è piena di talenti. Gabriele Mazzucco è un autore teatrale molto interessante,
al di fuori degli schemi. Anticonformista, assolutamente indipendente nella sua
mentalità sempre brillante. Basta parlarci e ti accorgi di avere di fronte un
uomo molto maturo, che sa bene in quali acque si è costretti a navigare e non
si scoraggia, ma anzi rilancia con la forza delle idee, senza fronzoli per la
testa. Mai banale, nemmeno quando si parla di calcio (e con lui se ne parla
sempre) e della sua amata Roma. Attentissimo alla realtà in cui si vive, ha
sempre un suo punto di vista chiaro su ogni argomento e quando smetti di
parlare con lui ti lascia, ogni volta, la sensazione di non aver mai pensato ad
un particolare che ti ha appena raccontato. Lo abbiamo incontrato davanti ad un
ricco aperitivo nel suo quartier generale, il Teatro Ambra alla Garbatella, a
pochi giorni da un nuovo debutto. Una persona e un autore che non lascia
indifferenti durante un colloquio, né tantomeno con i suoi testi.
Gabriele,
stai per debuttare con un tuo nuovo spettacolo, dopo il successo ottenuto nella
stagione passata, con “La storia di mezzo”. So che lotti contro tante
difficoltà per produrre i tuoi lavori. Come mai è così difficile in Italia
riuscire ad emergere? Sembra un paese in cui si è sempre giovani, ma non è
così…
Il teatro e' un
ambiente dove con tante idee e una forza lavorativa disumana, ci si può
esprimere nonostante non si abbia alle spalle una grande produzione o un ricco
tesoretto di famiglia. Purtroppo è anche un ambiente molto povero e non tutti
sono disposti a sacrificare se stessi
senza un netto ritorno economico. La prima selezione naturale avviene proprio
così, rimane solo chi può permettersi di fare teatro e chi è fatto per
resistere alle fatiche della vita “del teatro”, perché senza non potrebbe
vivere.
Tu,
quindi, a che punto sei in questa selezione naturale?
Io credo di essere
stato strutturato per andare avanti a prescindere in questo ambiente e non
immagino una condizione in cui scriverò senza poi veder rappresentato quanto
scritto. Ho 32 anni e non mi sento giovane da un pezzo: a 19 anni ho deciso che
l’indipendenza sarebbe stata la mia vittoria, a differenza della maggior parte
dei miei coetanei, e dopo una serie numerosa di lavori “necessari”, poter, da
un po’ di tempo, fare soltanto il lavoro che amo è una conquista stupenda. Non
mi pesa. Se per emergere si intende essere noti o famosi, diciamo che non è un
pensiero che mi perseguita. Il mio
obiettivo è quello di poter avere più tempo possibile per scrivere, avere più
gente possibile che venga a vedere quanto ho da raccontare in teatro. Non
perché mi ha visto in tv ma perché qualche amico gliel’ha consigliato e poi
vorrei avere molto, moltissimo tempo libero da “sprecare”!
Veniamo
alla nuova commedia con cui debutterai il 28 maggio all’Ambra Garbatella e
partiamo dal titolo, che mi incuriosì da subito: “M’iscrivo ai terroristi”…
immagino che sia un titolo provocatorio e che il tuo testo sia fortemente di
denuncia, o sbaglio?
I miei testi sono
sempre provocatori, in questo caso specifico anche il titolo, perché provocare
è un buon modo per cercare una reazione dall’altra parte ma generalmente devo
dire che non denuncio mai nulla: io racconto. Tendo a non emettere giudizi morali
o etici troppo personali, tranne quando si parla degli indiani d’America perché
è un tema che mi fa ribollire il sangue e di calcio. Penso che i fatti si
denuncino da soli e che in platea come nella vita, chi guarda debba trarre le
proprie conclusioni senza essere pilotato. Questo, guarda caso, è il tema
principale che affronto in questo spettacolo. In pratica mi piace proporre temi
“al pepe” e lasciare poi che il pubblico lo usi a suo piacimento.
Tu
lavori molto anche nel teatro per bambini, evidentemente ti piacciono molto e i
tuoi spettacoli riscuotono grande successo nei piccoli spettatori. Nasce da lì
la caratteristica dei tuoi testi così surreali? Perché sia ne La storia di
mezzo che in M’iscrivo ai terroristi, c’è questa predilizione per un aspetto
quasi fumettistico, con dei personaggi improbabili?
Ma guarda, Paolo, il
processo è stato inverso: scrivevo personaggi fumettistici e quindi ho pensato
che avrei potuto scrivere per i bambini con una certa facilità, quindi mi ci
sono dedicato successivamente. Trovo che questi personaggi siano più veri ed
interessanti di quelli convenzionali. Intanto perché le mie storie vengono dal
passato ma non sono quasi mai ambientate nel passato. Da spettatore mi sono
mortalmente annoiato nel vedere spettacoli sempre ambientati negli stessi
periodi storici. Preferisco raccontare di oggi magari immaginando come sarà il
domani e poi, dai, come si possono raccontare le stranezze del genere umano se
non attraverso personaggi strani ? Sento spesso dire dalle donne che incontrano
solo uomini matti o strani e dagli uomini, invece, che le donne sono tutte
pazze ed esaurite … perché raccontare di una normalità che non esiste ? Poi le
mie sono tutte metafore divertenti di temi un pò più complessi, quindi per
dissimulare al meglio quello che voglio dire ho bisogno di maschere che
attirino particolarmente l’attenzione.
Hai
dichiarato che in questa ultima pièce c’è l’influenza delle tesi di Noam
Chomsky, famoso filosofo, teorico della comunicazione e anarchico americano. Ci
spieghi meglio?
Certo. In questa
epoca, in particolare, i mezzi di comunicazione sono tutto. Prima era
impossibile poter immaginare di riuscire ad assoggettare tutto il mondo sotto
un unico governo, ora lo è un po’ meno… perché ? Perché l’informazione può
arrivare dappertutto. Chomsky tra le altre cose asserisce che “la propaganda sta alla democrazia come la
violenza sta alla dittatura” e la propaganda è ciò che porta l’individuo ad
avallare ogni prepotenza, ogni spargimento di sangue, ogni comportamento
inumano che serve al potere per i suoi scopi. Malcom X diceva “se non state
attenti i media vi porteranno ad odiare gli oppressi e non i loro oppressori”.
Ecco questo è già successo da tempo, ora non manca che l’estensione in grande
scala di questo processo.
Gabriele,
sei molto impegnato anche nel tuo rione, la Garbatella, con una scuola di
recitazione e scrittura teatrale. Quanto è importante diffondere la cultura
teatrale sul territorio? So che hai un bel seguito...
Importantissimo è
proporre. Cercare di far nascere la voglia, la passione, la curiosità. Se poi
il seme attecchisce tanto meglio, il risultato più importante è veramente
ottenuto. Se invece trova un terreno non
adatto, l’importante rimane avergli dato una possibilità.
Quali
sono le tue aspettative nei riguardi di questo tuo ultimo testo? Pensi che
possa approdare in un cartellone di un teatro storico?
Spero piaccia prima
al pubblico, poi a me ed infine alla critica. Spero possa generare l’effetto
che fece la Storia di mezzo, con la gente che giorno dopo giorno aumentava
fuori controllo. Per me l’Ambra alla Garbatella è casa ed è una casa
bellissima. Certo mi piacerebbe portare in scena il mio spettacolo in una delle
cattedrali del teatro ma tanto per fare un paragone calcistico (inevitabile –
ndr), la Roma nell’84 poteva vincere la Coppa dei Campioni senza aver giocato al Bernabeu o all’Old
Trafford e disputando la finale in casa. In pratica, credo non sia tanto
fondamentale dove giochi le partite importanti, ma che il risultato alla fine
sia la vittoria.
Si
parla spesso di nuova drammaturgia italiana, se ne parla tantissimo ma ho
l’impressione che poi non trovi spazio se non nei piccoli teatri off.
Legandomi alla
risposta di prima, non importa quale sia il contesto. Se la drammaturgia vale
oggi, vorrà dire che verrà rappresentata nei grandissimi teatri domani. La
massa arriva al netto delle cose sempre in ritardo, altrimenti saremmo una
società felice. Poi, detto tra noi, nell’avere tutto e subito che gusto c’è ?
Paolo
Leone
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