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26 maggio, 2015

INTERVISTA CON GABRIELE MAZZUCCO. LA FORZA DELLE IDEE. Intervista di Paolo Leone


L’Italia è piena di talenti. Gabriele Mazzucco è un autore teatrale molto interessante, al di fuori degli schemi. Anticonformista, assolutamente indipendente nella sua mentalità sempre brillante. Basta parlarci e ti accorgi di avere di fronte un uomo molto maturo, che sa bene in quali acque si è costretti a navigare e non si scoraggia, ma anzi rilancia con la forza delle idee, senza fronzoli per la testa. Mai banale, nemmeno quando si parla di calcio (e con lui se ne parla sempre) e della sua amata Roma. Attentissimo alla realtà in cui si vive, ha sempre un suo punto di vista chiaro su ogni argomento e quando smetti di parlare con lui ti lascia, ogni volta, la sensazione di non aver mai pensato ad un particolare che ti ha appena raccontato. Lo abbiamo incontrato davanti ad un ricco aperitivo nel suo quartier generale, il Teatro Ambra alla Garbatella, a pochi giorni da un nuovo debutto. Una persona e un autore che non lascia indifferenti durante un colloquio, né tantomeno con i suoi testi.

Gabriele, stai per debuttare con un tuo nuovo spettacolo, dopo il successo ottenuto nella stagione passata, con “La storia di mezzo”. So che lotti contro tante difficoltà per produrre i tuoi lavori. Come mai è così difficile in Italia riuscire ad emergere? Sembra un paese in cui si è sempre giovani, ma non è così…

Il teatro e' un ambiente dove con tante idee e una forza lavorativa disumana, ci si può esprimere nonostante non si abbia alle spalle una grande produzione o un ricco tesoretto di famiglia. Purtroppo è anche un ambiente molto povero e non tutti sono disposti a sacrificare  se stessi senza un netto ritorno economico. La prima selezione naturale avviene proprio così, rimane solo chi può permettersi di fare teatro e chi è fatto per resistere alle fatiche della vita “del teatro”, perché senza non potrebbe vivere.

Tu, quindi, a che punto sei in questa selezione naturale?

Io credo di essere stato strutturato per andare avanti a prescindere in questo ambiente e non immagino una condizione in cui scriverò senza poi veder rappresentato quanto scritto. Ho 32 anni e non mi sento giovane da un pezzo: a 19 anni ho deciso che l’indipendenza sarebbe stata la mia vittoria, a differenza della maggior parte dei miei coetanei, e dopo una serie numerosa di lavori “necessari”, poter, da un po’ di tempo, fare soltanto il lavoro che amo è una conquista stupenda. Non mi pesa. Se per emergere si intende essere noti o famosi, diciamo che non è un pensiero che mi  perseguita. Il mio obiettivo è quello di poter avere più tempo possibile per scrivere, avere più gente possibile che venga a vedere quanto ho da raccontare in teatro. Non perché mi ha visto in tv ma perché qualche amico gliel’ha consigliato e poi vorrei avere molto, moltissimo tempo libero da “sprecare”!

Veniamo alla nuova commedia con cui debutterai il 28 maggio all’Ambra Garbatella e partiamo dal titolo, che mi incuriosì da subito: “M’iscrivo ai terroristi”… immagino che sia un titolo provocatorio e che il tuo testo sia fortemente di denuncia, o sbaglio?

I miei testi sono sempre provocatori, in questo caso specifico anche il titolo, perché provocare è un buon modo per cercare una reazione dall’altra parte ma generalmente devo dire che non denuncio mai nulla: io racconto. Tendo a non emettere giudizi morali o etici troppo personali, tranne quando si parla degli indiani d’America perché è un tema che mi fa ribollire il sangue e di calcio. Penso che i fatti si denuncino da soli e che in platea come nella vita, chi guarda debba trarre le proprie conclusioni senza essere pilotato. Questo, guarda caso, è il tema principale che affronto in questo spettacolo. In pratica mi piace proporre temi “al pepe” e lasciare poi che il pubblico lo usi a suo piacimento.
  
Tu lavori molto anche nel teatro per bambini, evidentemente ti piacciono molto e i tuoi spettacoli riscuotono grande successo nei piccoli spettatori. Nasce da lì la caratteristica dei tuoi testi così surreali? Perché sia ne La storia di mezzo che in M’iscrivo ai terroristi, c’è questa predilizione per un aspetto quasi fumettistico, con dei personaggi improbabili?


Ma guarda, Paolo, il processo è stato inverso: scrivevo personaggi fumettistici e quindi ho pensato che avrei potuto scrivere per i bambini con una certa facilità, quindi mi ci sono dedicato successivamente. Trovo che questi personaggi siano più veri ed interessanti di quelli convenzionali. Intanto perché le mie storie vengono dal passato ma non sono quasi mai ambientate nel passato. Da spettatore mi sono mortalmente annoiato nel vedere spettacoli sempre ambientati negli stessi periodi storici. Preferisco raccontare di oggi magari immaginando come sarà il domani e poi, dai, come si possono raccontare le stranezze del genere umano se non attraverso personaggi strani ? Sento spesso dire dalle donne che incontrano solo uomini matti o strani e dagli uomini, invece, che le donne sono tutte pazze ed esaurite … perché raccontare di una normalità che non esiste ? Poi le mie sono tutte metafore divertenti di temi un pò più complessi, quindi per dissimulare al meglio quello che voglio dire ho bisogno di maschere che attirino particolarmente l’attenzione. 

Hai dichiarato che in questa ultima pièce c’è l’influenza delle tesi di Noam Chomsky, famoso filosofo, teorico della comunicazione e anarchico americano. Ci spieghi meglio?

Certo. In questa epoca, in particolare, i mezzi di comunicazione sono tutto. Prima era impossibile poter immaginare di riuscire ad assoggettare tutto il mondo sotto un unico governo, ora lo è un po’ meno… perché ? Perché l’informazione può arrivare dappertutto. Chomsky tra le altre cose asserisce che  “la propaganda sta alla democrazia come la violenza sta alla dittatura” e la propaganda è ciò che porta l’individuo ad avallare ogni prepotenza, ogni spargimento di sangue, ogni comportamento inumano che serve al potere per i suoi scopi. Malcom X diceva “se non state attenti i media vi porteranno ad odiare gli oppressi e non i loro oppressori”. Ecco questo è già successo da tempo, ora non manca che l’estensione in grande scala di questo processo.

Gabriele, sei molto impegnato anche nel tuo rione, la Garbatella, con una scuola di recitazione e scrittura teatrale. Quanto è importante diffondere la cultura teatrale sul territorio? So che hai un bel seguito...

Importantissimo è proporre. Cercare di far nascere la voglia, la passione, la curiosità. Se poi il seme attecchisce tanto meglio, il risultato più importante è veramente ottenuto.  Se invece trova un terreno non adatto, l’importante rimane avergli dato una possibilità.

Quali sono le tue aspettative nei riguardi di questo tuo ultimo testo? Pensi che possa approdare in un cartellone di un teatro storico?

Spero piaccia prima al pubblico, poi a me ed infine alla critica. Spero possa generare l’effetto che fece la Storia di mezzo, con la gente che giorno dopo giorno aumentava fuori controllo. Per me l’Ambra alla Garbatella è casa ed è una casa bellissima. Certo mi piacerebbe portare in scena il mio spettacolo in una delle cattedrali del teatro ma tanto per fare un paragone calcistico (inevitabile – ndr), la Roma nell’84 poteva vincere la Coppa dei Campioni  senza aver giocato al Bernabeu o all’Old Trafford e disputando la finale in casa. In pratica, credo non sia tanto fondamentale dove giochi le partite importanti, ma che il risultato alla fine sia la vittoria. 

Si parla spesso di nuova drammaturgia italiana, se ne parla tantissimo ma ho l’impressione che poi non trovi spazio se non nei piccoli teatri off.

Legandomi alla risposta di prima, non importa quale sia il contesto. Se la drammaturgia vale oggi, vorrà dire che verrà rappresentata nei grandissimi teatri domani. La massa arriva al netto delle cose sempre in ritardo, altrimenti saremmo una società felice. Poi, detto tra noi, nell’avere tutto e subito che gusto c’è ?


Paolo Leone

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