Teatro Manzoni, Milano dal 4 al 16 maggio 2015
Raramente attualizzare, a
teatro o al cinema, un personaggio o un avvenimento, funziona. Non basta
paludarlo di cuoio, cappelli militari, fucili, e altre facilonerie
scenografiche o far parlare gli attori in un dialetto possibilmente del Sud,
per rendere quello che si vuole raccontare, esprimere, puntualizzare, più forte
e significante. Si rischia di cadere nella trappola, seducente, tuttavia, di
scandalizzare e meravigliare a buon mercato, il pubblico.
“Nerone duemila anni di
calunnie” di cui Edoardo Sylos Labini è regista e interprete, è un ottimo
esempio di come si possa evitare la banalità esteriore scavando invece nel
significato del dramma che si sta raccontando, restituendo al fruitore uno
spettacolo chiaro nei suoi intenti, con molta dose d’intrattenimento, una regia
misurata ma decisa e inventiva, una drammaturgia intelligente, mai noiosa e
retorica.
Lo spettacolo si apre con
Nerone, cui Edoardo Sylos Labini, senza cadere in stereotipi, dà
un’interpretazione pensosa e pensierosa, pacata ed equilibrata, mai esagerata,
né volgare, dell’Imperatore che, disteso sul suo triclino, tra le colonne della
Domus Aurea, è tormentato dal fantasma della madre Agrippina, mentre un coro
fuori campo ripete le parole, che saranno un po’ il leitmotiv dello spettacolo: “Nerone ha bruciato Roma, ha ucciso la
madre, la moglie, il fratello. E’ l’anti-Cristo, ama il popolo. E’ pazzo! Ci
rovina tutti!”. E’ la notte che precede il suo suicidio, che commetterà
declamando le parole: “Quale artista muore con me!”, dopo che il Senato lo avrà
deposto con l’accusa di avere appiccato il fuoco alla città. Nerone è passato
alla storia perché, raccontano gli storici, mentre Roma bruciava, lui la
guardava impotente, svogliato, suonando la cetra. Ma è stato veramente così, si
chiede Massimo Fini nel suo omonimo saggio?
Lo scrittore sembra più propenso a credere che
Roma abbia preso fuoco per mano dei Cristiani, che consideravano l’Imperatore
come un anti –Cristo. Tesi che naturalmente non è appurata, perché la Storia la
fanno i vincitori, ma che potrebbe essere assolutamente vera.
Nerone, nipote di Caligola,
figlio della potente e dissoluta Agrippina, marito di Ottavia, Agrippina e
Messalina, era un poeta, un attore, un cercatore di gloria, più che di potere,
di bellezza più che di politica a vantaggio
del Senato e a discapito del popolo.
Era un uomo che voleva riportare la Grecia a Roma, che preferiva il
teatro dove si finge davvero e senza danno, al teatrino della politica, dove si
finge a danno degli altri. Era un esteta, che forse la storia non ha mai
capito, ma solo denigrato.
Durante le due ore dello
spettacolo, ogni parola ci porta a fare associazioni, paragoni, rimandi,
vediamo il Potere prendere sembianze umane, contornarsi di personaggi dalla
dubbia moralità, da lecchini, attricette, portaborse, cupidigia e avidità
vestono in smoking e doppio petto, danzano e si nascondono, tramano e
sfruttano, colpiscono e annientano. E il popolo, pronto a osannare chi sta al
Potere, non ci pensa due volte a odiarlo, forse per invidia, un momento dopo. E
a volerlo morto.
I personaggi si muovono su
un set che è come una festa hollywoodiana, in un angolo una ballerina vestita
di bianco, gente che ride, che beve, ragazze di facili costumi o senza costumi,
efebi che mollemente passeggiano tra gli invitati offrendo la loro bellezza, i
Senatori che parlano di politica, un mimo/dj alla consolle cui Nerone si
rivolge chiamandolo “ermafrodito”, e al centro di tutto l’Imperatore. Eppure,
nonostante il codazzo degli ammiratori, dei futuri traditori, degli invitati,
Nerone parla della “solitudine del potere e della sua maledizione”,
consapevole, o forse no, dei rischi che avrebbe corso lui che di potere ne
aveva a dismisura e che voleva “ essere un Dio” ma gli è toccato uscire di
scena “come un qualunque attore”.
Uno spettacolo che lascia un
segno, che fa riflettere, che ci induce a volerne sapere di più, forse a
sposare tesi cui non avevamo pensato. Nerone non è il mostro che molta storia
ha voluto dipingere, non è nemmeno un incapace, ma forse solo la vittima di un
Potere che si allarga a macchia d’olio quando scappa di mano e allora quelli
che erano amici diventano nemici, perfino le madri si rivelano assetate di esso
e di sesso, il popolo insorge, le finanze vengono dilapidate, i costumi
s’infiacchiscono, le città vanno a fuoco e fiamme. Non c’è niente di nuovo
sotto il sole.
Ricordiamo accanto a Sylos
Labini, il resto del cast: Sebastiano Tringali/ Seneca il filosofo, Dajana
Roncione/Poppea, Giancarlo Condè/Fenio Rufo, Gualtiero Scola/Otone,
Fiorella Rubino/Agrippina. Il dj
mimo è Paul Vallery, autore delle musiche originali, poi ci sono gli
allievi dell’Adiacademy : Cristian Carotenuto, Roberta Cassina, Simone
Galli, Guido Martella, Elisabetta Molteni, Marco Premoli, Irene Proietti,
Silvia Rota, Giulia Sinatra e la ballerina Arianna Cavallo. Bravi!!!
Ars longa vita brevis...
Daria
D.
Uno spettacolo di Edoardo
Sylos Labini
Liberamente tratto
dall’omonimo saggio di Massimo Fini
Drammaturgia di Angelo
Crespi
Basato su un'idea di
Pietrangelo Buttafuoco
Allestimento e costumi di
Marta Crisolini Malatesta,
Disegno luci Pietro Sperduti
Sottotitoli in inglese
RG produzioni
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