Roma,
Teatro della Cometa (via del Teatro Marcello 4) Dal 5 al 24 maggio 2015
Che Luca De Bei sia uno dei più importanti
drammaturghi e registi teatrali italiani è assodato ormai da qualche anno. Tra
le sue caratteristiche, oltre ad uno spiccato senso estetico dei suoi lavori,
vera e propria firma su quadro d’autore, c’è sicuramente quella di non essere
mai banale, di sorprendere il suo pubblico con lavori di alta qualità, anche
quando si diverte a scrivere (e a volte ad interpretare, oltre che dirigere)
opere che attingono ai toni della commedia ma sempre caratterizzati dalla sua
cifra stilistica, inconfondibile. Con il suo nuovo lavoro in scena al Teatro
della Cometa, a chiudere la stagione dello stesso, De Bei torna su quelle corde
che avevamo apprezzato ed amato in “Le mattine Dieci alle Quattro” testo
pluripremiato.
Lo fa a suo modo, sorprendendo appunto, e spiazzando lo spettatore, ad un primo impatto. Nessuno muore è un’opera atipica, che mette alla luce un lavoro certosino sul testo e sugli attori, addirittura otto, bravissimi e perfettamente in parte. Spettacolo che si va delineando via via con la messa in scena dei quadri di cui è composto, quindici. Ognuno, tranne l’ultimo, con due protagonisti per volta le cui vite, ognuna alle prese coi suoi disagi, si incroceranno in un puzzle di destini. Quasi una candid camera teatrale, senza scherzi (se non quelli che la vita riserva), in cui le esistenze di quattro donne e quattro uomini scorrono davanti ai nostri occhi, mostrando crudamente una rappresentazione completa della quotidiana contemporaneità. Esistenze segnate dalla violenza, dalla frenesia compulsiva delle nostre relazioni, dalla solitudine (tanta), da un sistema ipocrita, da famiglie esplose con tutti gli “effetti collaterali” connessi. Un susseguirsi di situazioni, flash di attualità che abbagliano per realismo e verità. E se l’autore non emette giudizi in questo suo lavoro, ma si limita a disegnare un quadro dalle tinte multiple e quanto mai realistico, così ricco di sfumature che diventa difficile coglierle tutte all’impronta, una costante emerge abbastanza chiaramente dal tourbillon di vita rappresentato, quasi un girotondo di schnitzleriana memoria. La necessità del contatto umano. Quella necessità negata, sottratta, violentata da un sistema il cui significato sfugge, il cui scopo evapora nei ritmi alienati dei nostri tempi. Se è vero che, nonostante tutto, nessuno muore, è altrettanto innegabile che una sottile disperazione emerge da ognuno dei quindici quadri di scena. Quasi una sensazione di vuoto cosmico, alienante, magicamente rappresentato dalle videografie, belle ed intelligenti quanto il testo. E allora, che vengano pure gli extraterrestri per ritrovare una nuova via, quel contatto d’amore, scintilla necessaria per tornare a vivere, per ritrovare la strada perduta.
Lo fa a suo modo, sorprendendo appunto, e spiazzando lo spettatore, ad un primo impatto. Nessuno muore è un’opera atipica, che mette alla luce un lavoro certosino sul testo e sugli attori, addirittura otto, bravissimi e perfettamente in parte. Spettacolo che si va delineando via via con la messa in scena dei quadri di cui è composto, quindici. Ognuno, tranne l’ultimo, con due protagonisti per volta le cui vite, ognuna alle prese coi suoi disagi, si incroceranno in un puzzle di destini. Quasi una candid camera teatrale, senza scherzi (se non quelli che la vita riserva), in cui le esistenze di quattro donne e quattro uomini scorrono davanti ai nostri occhi, mostrando crudamente una rappresentazione completa della quotidiana contemporaneità. Esistenze segnate dalla violenza, dalla frenesia compulsiva delle nostre relazioni, dalla solitudine (tanta), da un sistema ipocrita, da famiglie esplose con tutti gli “effetti collaterali” connessi. Un susseguirsi di situazioni, flash di attualità che abbagliano per realismo e verità. E se l’autore non emette giudizi in questo suo lavoro, ma si limita a disegnare un quadro dalle tinte multiple e quanto mai realistico, così ricco di sfumature che diventa difficile coglierle tutte all’impronta, una costante emerge abbastanza chiaramente dal tourbillon di vita rappresentato, quasi un girotondo di schnitzleriana memoria. La necessità del contatto umano. Quella necessità negata, sottratta, violentata da un sistema il cui significato sfugge, il cui scopo evapora nei ritmi alienati dei nostri tempi. Se è vero che, nonostante tutto, nessuno muore, è altrettanto innegabile che una sottile disperazione emerge da ognuno dei quindici quadri di scena. Quasi una sensazione di vuoto cosmico, alienante, magicamente rappresentato dalle videografie, belle ed intelligenti quanto il testo. E allora, che vengano pure gli extraterrestri per ritrovare una nuova via, quel contatto d’amore, scintilla necessaria per tornare a vivere, per ritrovare la strada perduta.
Il nuovo spettacolo di Luca De Bei è un
esempio di drammaturgia moderna, senza pedanteria. Quasi una sperimentazione,
accattivante, la cui unica pecca, non me ne voglia il buon Luca, è un’eccessiva
durata. Ben vengano testi e interpretazioni così intelligentemente pregne di
verità. Da vedere.
Paolo
Leone
“Nessuno
muore”, scritto e diretto da Luca De Bei.
Interpreti:
Andreapietro Anselmi, Maria Vittoria Argenti, Chiara Augenti, Michele Balducci,
Federica Bern, Giulio Forges Davanzati, Alessandro Marverti e Arianna Mattioli.
Scene:
Lorena Curti e Valeria Mangiò; Costumi: Lalla Sabbatella; Videografia: Marco
Schiavoni; Luci: Marco Laudando; Assistente alla regia: Maria Castelletto; Aiuto
regia: Lucrezia Lanza. Foto di Pietro Pesce.
Si
ringrazia l’ufficio stampa della Compagnia, nella persona di Maya Amenduni.
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