“…And I hold within
my hand/Grains of the golden sand –/How few! Yet how they creep/Trough my
fingers to the deep,/While I weep – While I weep!/O God! Can I not grasp/Them
with a tighter clasp?/O God! Can I not save/One from the pitiless wave?/Is all
that we see or seem/But a dream within a dream?/
E.A.POE,”A Dream
within a Dream”
Francis Bacon, Urlo del Papa |
Ho tirato su le imposte
e spalancato la finestra. Fuori era ancora notte fonda. Un cane, da lontano,
non smetteva il suo rauco latrato. Il cielo, punteggiato di gremite stelle, mi
ha comunicato un’ineffabile fitta. Sono restato col groppo in gola a lasciarmi
investire – gli occhi chiusi – dalla brezza fresca e vivace che muoveva un
concerto di foglie fra rami invisibili. Un profonda angoscia si era insinuata
nei miei vividi sogni – di cui ancora tenevo una labile traccia emotiva - e mi
ero svegliato madido di sudore e con le lacrime in volto, ma senza poterli
ricordare.
Adesso non si ode suono
se non il ticchettio arcigno dell’orologio a muro. Mi sento in anticipo su
tutto e tutti: un mondo addormentato che non mi bada – solo il canto precoce e
sporadico di qualche passero, e il frusciare oceanico di nascoste fronde che
danzano ondeggiando, da qualche parte nel fondale buio e indistinto di
quest’ora antelucana. La mia mente si fa sgombra da ogni pensiero, ma qualcosa
di inquieto e remoto trascina le sue catene nei recessi del mio intimo – sento
inspessirsi un larvato senso di trepida tensione. Poi, d’improvviso, un’ondata
di dense rievocazioni come fantasmagorie di fragranze e colori senza corpo.
Cerco di non badare alla cosa, ma è un’inedita sensazione di disagio che non
riesco a cacciar via del tutto. Attraverso torpidamente la sala e accendo la
radio che occhieggia da un angolo segnando l’ora sul suo quadrante luminoso: le
tre e mezza. Una voce in falsetto sta snocciolando grumi di parole trite con
l’accompagnamento di un rock basico.
Bevo del caffè freddo,
che non ricordavo essermi avanzato dalla sera prima, e il mio palato recalcitra
al sapore denso e amaro della bevanda. La sensazione d’angoscia che avevano
ingenerato i miei incubi, sta stemperando in una lieve ansietà, ma sento
strisciarmi dentro qualcosa di alieno e inafferrabile che non trova pace –
sento crescere uno strano mélange di sensazioni vaghe e contrastanti. Con un
gesto istintivo e meccanico, faccio per accendere le luci, ma indugio un
istante e decido infine che tenerle spente sia più confortevole. Nella penombra
della casa, vecchi oggetti familiari cambiano di volto, suggerendo con le loro
silhouette, bizzarre forme fantasiose. Da torrente, il tempo, sembra essersi
trasformato in un rigagnolo. E’ come se la mia presenza si stesse
assottigliando.
Adesso la radio
scandisce grappoli di note carezzevoli da un pianoforte che indugia su un andamento
lento e dilatato, poi il richiamo di un violino zoppicante emerge a latere di
quel morbido fraseggio musicale, finché i due non si accordano in una perfetta
e dialogante armonia, ed un tremulo di chitarra ne consolida l’unione salendo e
scendendo ritmicamente di tono come ad evocarne l’incedere per mano.
Improvvisamente ho la netta impressione di conoscere già l’intero brano… E in
effettiriesco ad anticiparne l’andamento… pure, non ricordo come e dove l’abbia
già udito. Una sensazione di freddo crescente prende ad avvolgermi nelle sue
viscide spire. Il mattino sembra non dover più arrivare. I miei occhi, fattisi
sensibili alla semioscurità, catturano parvenze di dettagli che paiono fuori
posto rispetto all’insieme. Mi dico che è solo un gioco di ombre, ma
l’inquietudine monta nuovamente in un senso di angoscia nera e irrefrenabile.
Sento nuovamente l’impulso impellente di accendere tutte le luci. In un baleno,
la casa si ricolma di una miriade di dettagli che offrono, per un istante, il
sollievo di un piacevole senso di solidità… Niente di più labile, perché ogni
mobilio, ogni singola suppellettile, muta in qualcosa che non mi è mai
appartenuto. Il freddo cresce… cosa mi sta accadendo?...Un crescente terrore mi
allappa la bocca, proiettando la mia testa all’indietro in un flusso senza
coordinate. E’ un attacco di panico, ne riconosco i sintomi. Una flebile voce,
mi sussurra da dentro che quella è la mia casa, quelli sono i miei oggetti, ed
io sono al sicuro, ma non riesco a stornarmi dalla perdita di punti di
riferimento…
Mi muovo per tutte le
stanze alla convulsa ricerca di qualcosa
che parli la docile lingua di un oggetto addomesticato dall’uso nei giorni e
negli anni, ma adesso tutto quanto mi è ancora più estraneo e scostante… Piccole
e grandi foto-ricordo, sporgono volti ignoti dalle proprie irriconoscibili
cornici. Un quadro, da sopra il camino, mi offre la sardonica beffa di un
bucolico paesaggio agreste, con fiumi e colline che non ho mai veduto prima.
Incespico turbato ed attonito come un insetto impazzito, fra inferni di nitidi
particolari che sembrano congiurare contro la mia stessa esistenza. Con la
mente stravolta e fluttuante in un pluriverso di scoordinati elementi, cerco di
aggrapparmi ad un ricordo salvo dalla congiura che mi si è fatta d’attorno, ma
non riesco a niente. E’ come se non avessi alcun passato: una spoglia presenza
che si appercepisce senza alcun elemento mediato di coscienza o riflessione.
Scopro con orrore di non avere un passato, un nome, un singolo vissuto che
torni al pensiero salvandomi dall'’incubo. Il mio sguardo ciondola smarrito da
una parte all’altra della stanza fino a incontrare nuovamente il quadrante
dell’ora: segna ancora le tre e mezza esatte.
Un fischio assordante mi
trafigge le orecchie, il volto avvampa, mi guardo le mani e sembrano
spropositatamente grandi, mentre ogni parete pare ritrarsi lontano per poi
tornarmi incontro in un’orribile vertigine altalenante, richiudendosi sulla mia
evanescente presenza fino a schiacciarla. Poi, repentinamente, tutto ritorna nei
cardini della normalità; come se qualcuno avesse acceso solo adesso le luci
della realtà. E la casa intera mi offre un nitido dejà vù: io che torno a stare
meglio, ed ogni dettaglio d’insieme che mostra il volto di una familiarità
bastevole ma come mutila, di migliaia e migliaia di mattini eguali; il
risveglio nel cuore della notte, le stelle e la frescura della brezza, il
sapore del caffè nel palato, la radio che suona gli stessi brani già
conosciuti, la perdita di coordinate… senza nessun sole che sorge e nessun
principio di giornata, nella prigione di un rotto arco di tempo che viene dal
vuoto e nel vuoto ricade per poi ripetersi identico. Ed io, infine, che torno
nel letto sognando di potermi addormentare senza più svegliarmi, senza più
dovermi ingannare e nuovamente vivere il tratto terrifico di quella monca
esistenza priva di senso, che con la sua perenne ancora alla fonda non salpa
verso alcuna aurora.
Adesso sento solo
l’impulso di coricarmi e risprofondare nel sonno, per poter obliare tutto
quanto. Mi trascino come un sonnambulo verso il letto, mi distendo e mi avvolgo
nelle coperte. La sensazione di freddo scema con la crescente pesantezza del
sonno che ritorna. Il mio ultimo pensiero è la speranza di dover dormire per
sempre, e sempre, senza più svegliarmi. Il silenzio diviene una dolce melodia.
Ora sono al sicuro: calmo e appagato; stavolta, ho come la certezza che andrà
tutto bene…
…non devo fare altro che
dormire e sognare per sempre di non dovermi risvegliare.
“Caro diario,
stamani mi sono alzato nuovamente tardi,
proprio come un bruto. Questo ultimo mese è stato il peggiore in assoluto. Ogni
volta mi sveglio con la sensazione di stare continuando un sogno, ma non riesco
mai a trattenerne la minima traccia… se non forse una vaga voce, una voce di
richiesta d’aiuto che sembra correre attraverso le pareti, per dileguarsi in un
attimo. Poi tutto torna ad apparirmi con la sua tangibile e inespugnabile,
ottusa presenza, che mi reclama alla vita. Sto abusando senza ritegno di alcol
e psicofarmaci. Penso di star perdendo del tutto il controllo. Da quando ho
saputo di avere i giorni contati, non riesco più ad applicarmi ad alcunché che
mi salvi da questo lento assottigliarsi di ogni senso, con la sua inutile muta
giornaliera di morte pelli.
Credevo che sarei riuscito, almeno, a
completare il mio ultimo lavoro; ma sono ancora in alto mare: riesco solo ad
accanirmi ossessivamente su uno stupido incipit che prima della ferale notizia
sul decorso avanzato della mia malattia, avevo pensato potesse essere l’avvio
della mia migliore e più ambiziosa opera. In effetti, sto solo annaspando in un
labirinto di correzioni e riscritture, non riesco a scrivere con frutto… E non
trovo pace. Continuo a cesellare morbosamente poche righe di avvio che vedono
il protagonista risvegliarsi in un primo mattino di sonno spezzato… ottenendo
soltanto di incagliarmi una volta di più, arrivato al medesimo punto.
Penso di stare perdendo la ragione. Oggi, forse,
mi deciderò a prendere ogni singolo foglio, ammucchiarlo, e bruciare tutto
quanto… Forse, così, ritroverò un po’ della tranquillità perduta…”
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