“Voi siete simpatico,
magari quando ve ne andrete sarete anche un po' meno imbecille”. Così dice un
ragazzo affacciato a un finestra a Ismael Prof. Ismael Bartleboom, avventore
della locanda Almayer nel libro 'Oceano mare' di Alessandro Baricco. Così si sente
lo spettatore dopo aver visto l'ultimo lavoro della Compagnia Superdiverso
tratto da quel libro, 'Oceanomare', in scena al Teatro Sala Uno di Roma fino al
31 maggio: un po' meno imbecille. Perché quando si va a vedere uno spettacolo
di teatro integrato come questo, diretto da Luciana Lusso Roveto che da anni
lavoro con attori e danzatori diversamente abili, si entra pieni di pregiudizi.
Sarà sicuramente interessante, ma chissà con quanti limiti. Eppure il vero
limite di questo spettacolo è la vastità del mare e i pochi giorni per andare a
vederlo a teatro. Le musiche dei tamburi Taiko di Rita Superbi, le coreografie
scelte dalla regista che rievocano i lavori di Pina Bausch, la composta
recitazione degli attori in scena.
Tutto concorre a creare un'atmosfera quasi onirica. La bellezza del teatro Sala Uno aiuta a calarsi in una scena surreale, anche se il sottofondo è quello tratteggiato crudamente da una fredda giornalista : il dramma dei migranti che solcano il mare in cerca di nuoca vita e trovandovi spesso la morte. Il lavoro fatto da ormai 13 anni da questa compagnia è ammirevole: teatro sociale nei temi e nello scopo.
Tutto concorre a creare un'atmosfera quasi onirica. La bellezza del teatro Sala Uno aiuta a calarsi in una scena surreale, anche se il sottofondo è quello tratteggiato crudamente da una fredda giornalista : il dramma dei migranti che solcano il mare in cerca di nuoca vita e trovandovi spesso la morte. Il lavoro fatto da ormai 13 anni da questa compagnia è ammirevole: teatro sociale nei temi e nello scopo.
Nel romanzo di
Baricco si incontra una ragazza, Elisewin, che ha paura di vivere, anche se
vuole farlo. Un “esperto” le prescrive bagni di mare: forse ne morirà, ma se si
salverà vivrà la vita davvero. “Così inizia il suo viaggio. Il mare è, forse è
sempre stato, l’elemento che gli uomini e le donne attraversano in cerca di una
nuova esistenza”, spiega la regista Luciana Lusso Roveto. Una metafora preziosa
per una compagnia fatta di attori e danzatori impegnati in un percorso
artistico così importante e a volte difficile.
Parallelamente al
viaggio della protagonista verso il mare si racconta poi di un naufragio, con
soli due superstiti. Uno dei due, Thomas - che ha vissuto situazioni estreme in
acqua e ora non ha paura di vivere - per una serie di ragioni si trova nello
stesso luogo in cui giunge la ragazza per curarsi: una locanda su una spiaggia
in mezzo al nulla. Ed è in questo luogo che si sviluppa la trama. I due si
incontreranno, intrecciando le loro vite alle storie di altri ospiti e abitanti
della locanda.
“Acqua da
attraversare, il naufragio, una ragazza che non ha mai visto il mare ma deve
entrarci per poter vivere davvero. Tutto questo somiglia molto alle tante
storie di quelle persone che senza aver mai visto l'Oceano vengono ammassate
sui barconi e lo attraversano, spesso senza saper nuotare e a rischio della
vita”, aggiunge la regista Così nella Locanda Almayer, tra i tanti avventori
giunti per motivi diversi, si consuma nell’indifferenza un altro dramma narrato
da una giornalista di una emittente TV per naviganti: quello dei naufragi
quotidiani che accompagnano il vissuto dei personaggi e il nostro vissuto. Una
metafora dei nostri tempi che allarga il cuore e lo sguardo.
Teresa
Imola
Bella recensione, complimenti!
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