Festival dei 2Mondi di Spoleto, Teatro
Menotti. Domenica 12 luglio 2015, replica delle 17 e 30
“I Duellanti”, troppo famoso questo racconto di Joseph Conrad scritto nel 1908, da
cui è stato tratto anche il celebre film del 1977, diretto da Ridley Scott. Questo
testo, in passato già riadattato per il teatro, ci viene presentato oggi nella versione che vede la drammaturgia di Alessio Boni, Roberto Aldorasi,
Marcello Prayer e Francesco Niccolini, che lo hanno portato all’edizione appena
conclusa del Festival dei 2Mondi di Spoleto.
La
sinossi dello spettacolo è espressa molto bene in questo breve testo, che
compare nel programma del Festival:
“La
nostra versione teatrale de I Duellanti mostra quanto sia impossibile dare una
risposta univoca alla domanda. Perché un duello può durare poco più del tempo
necessario a estrarre le sciabole e procurare all’avversario una ferita troppo
profonda per continuare. Oppure, all’opposto, può durare vent’anni. O ancora,
giusto il tempo perché – fuori da un bosco – i due padrini di uno dei
duellanti, mentre attendono gli sviluppi di quello che sta accadendo tra gli
alberi – possano provare a ricostruire la misteriosa vicenda che lega due
ufficiali dell’esercito napoleonico, Armand D’Hubert e Gabriel Florian Feraud.
Sono proprio loro due che, nel bosco, e lungo vent’anni, non smettono mai di
duellare.
E sono sempre loro due che a cavallo o su un prato, si infilzano con sciabole e fioretti. Hanno iniziato quando erano tenenti, dopo un banale battibecco, e non hanno più smesso. D’Hubert, ben visto dai suoi superiori, elegante uomo del nord, e Feraud, il guascone che odia i damerini ruffiani e cicisbei, come il suo avversario: il primo sempre più disincantato dalle imprese e dalle disfatte napoleoniche, il secondo fedele oltre ogni ragionevole dubbio all’imperatore, nella buona e nella cattiva sorte. Di duello in duello, D’Hubert e Feraud partecipano alla conquista dell’Europa e all’ascesa di Napoleone, poi vivono sulla loro pelle la disfatta di Russia, senza mai smettere di trovare occasioni per duelli che, di volta in volta, si fanno sempre più epici per tutta l’Armata, soprattutto perché nessuno conosce i motivi profondi della contesa: una donna? Napoleone? Un’offesa inconfessabile? Qualcosa che viene ancora da più lontano nel tempo e nelle loro vite? Quale segreto così feroce e vergognoso li lega? Impossibile dare una risposta, dato che i due protagonisti non ne parlano con nessuno. Le poche cose chiare di questa vicenda sono che Feraud non intende in nessun modo fare sconti a D’Hubert, che D’Hubert non vuole sottrarsi a Feraud, e che – probabilmente – uno non può fare a meno dell’altro. I due militari (che intanto hanno fatto carriera e sono arrivati a essere capitani, poi colonnelli e infine generali) sono così abituati a combattere e a rischiare la vita, che quei duelli diventano volenti o nolenti parte fondamentale delle loro vite, una ossessione che i due vivono in modi opposti: con astio furente Feraud contro il damerino e traditore, con rassegnata incapacità a sottrarsi D’Hubert. Tutto questo fino al giorno che la caduta e l’esilio di Napoleone fa precipitare le cose: D’Hubert si trova tra i fedeli della restaurata monarchia e viene salvato, mentre Feraud precipita con Napoleone e rischia l’esecuzione capitale. Solo l’intervento (segreto) del suo nemico D’Hubert lo salva: e mentre il "damerino" si prepara al matrimonio con una giovane e bellissima nipote di un aristocratico del sud della Francia, Feraud viene costretto a una sorta di domicilio coatto e a una pensione anticipata e forzata, sotto minaccia di arresto in caso di cattivo comportamento.
E sono sempre loro due che a cavallo o su un prato, si infilzano con sciabole e fioretti. Hanno iniziato quando erano tenenti, dopo un banale battibecco, e non hanno più smesso. D’Hubert, ben visto dai suoi superiori, elegante uomo del nord, e Feraud, il guascone che odia i damerini ruffiani e cicisbei, come il suo avversario: il primo sempre più disincantato dalle imprese e dalle disfatte napoleoniche, il secondo fedele oltre ogni ragionevole dubbio all’imperatore, nella buona e nella cattiva sorte. Di duello in duello, D’Hubert e Feraud partecipano alla conquista dell’Europa e all’ascesa di Napoleone, poi vivono sulla loro pelle la disfatta di Russia, senza mai smettere di trovare occasioni per duelli che, di volta in volta, si fanno sempre più epici per tutta l’Armata, soprattutto perché nessuno conosce i motivi profondi della contesa: una donna? Napoleone? Un’offesa inconfessabile? Qualcosa che viene ancora da più lontano nel tempo e nelle loro vite? Quale segreto così feroce e vergognoso li lega? Impossibile dare una risposta, dato che i due protagonisti non ne parlano con nessuno. Le poche cose chiare di questa vicenda sono che Feraud non intende in nessun modo fare sconti a D’Hubert, che D’Hubert non vuole sottrarsi a Feraud, e che – probabilmente – uno non può fare a meno dell’altro. I due militari (che intanto hanno fatto carriera e sono arrivati a essere capitani, poi colonnelli e infine generali) sono così abituati a combattere e a rischiare la vita, che quei duelli diventano volenti o nolenti parte fondamentale delle loro vite, una ossessione che i due vivono in modi opposti: con astio furente Feraud contro il damerino e traditore, con rassegnata incapacità a sottrarsi D’Hubert. Tutto questo fino al giorno che la caduta e l’esilio di Napoleone fa precipitare le cose: D’Hubert si trova tra i fedeli della restaurata monarchia e viene salvato, mentre Feraud precipita con Napoleone e rischia l’esecuzione capitale. Solo l’intervento (segreto) del suo nemico D’Hubert lo salva: e mentre il "damerino" si prepara al matrimonio con una giovane e bellissima nipote di un aristocratico del sud della Francia, Feraud viene costretto a una sorta di domicilio coatto e a una pensione anticipata e forzata, sotto minaccia di arresto in caso di cattivo comportamento.
Tutto
questo non impedisce a Feraud di organizzare un nuovo duello, definitivo, alla
pistola. Sottraendosi agli ordini della Monarchia, e insieme a due surreali e
invecchiati padrini, il guascone raggiunge D’Hubert in Provenza e si prepara
allo scontro finale: alla pistola e in un bosco, praticamente alla cieca.
D’Hubert – in attesa del duello – passa la notte più difficile della sua vita:
lui che è abituato a combattere sul campo di battaglia e a vedere la morte in
faccia, per la prima volta, dubita non solo di Napoleone, ma anche di quella
vita, e se è veramente arrivato il momento di smettere di vivere spada in pugno
e pensare alla sua nuova famiglia. Forse per la prima volta ha paura.Ma tutto
scompare quando i due si trovano davanti e, pistole alla mano, penetrano dentro
il bosco, lasciando i due padrini di Feraud (D’Hubert ha deciso di non averne)
ad attendere gli sviluppi. Questo è il tempo del racconto e del duello: venti
anni, oppure poco più di un’ora. Fino alla sorprendente scoperta finale”.
Una scena fissa per questo spettacolo, che diventa, a secondo delle esigenze, il luogo dei duelli di Armand D’Hubert (Alessio Boni) e Gabriel Florian Feraud (Marcello Prayer) – emblematico quello a cavallo, dove le due strutture rialzate diventano sinonimo proprio dei due animali -, il palazzo del colonnello, la stanza di una mantenuta, il luogo d’esilio... l’oggettistica di scena è formata da poltrone, un letto, dalle strutture di cui abbiamo parlato, che prendono sempre differenti valenze (possono diventare il cavallo già citato, come la stanza del colonnello). Sulla destra un busto di Napoleone completa ancora di più il quadro storico, contestualizzando le vicende in una determinata epoca.
La messa in scena è
un susseguirsi di duelli e parti riflessive; azione e stasi. Tra i duelli il
più spettacolare è sicuramente quello che i protagonisti, attraverso uno
speciale gioco di luci, fanno al ralenti
e sembra veramente cinematografico. Il risultato è soddisfacente, anche se non
sono molto concorde con l’utilizzo di mezzi cinematografici sopra al palco
teatrale; soddisfacente, ma per niente teatrale, dirò infine. Molto teatrale è
invece il racconto della campagna di Russia - che nel film è reso con le
sequenze della battaglia -, dove i due personaggi, fermi frontalmente davanti
al pubblico, raccontano le tristi vicende, a cui loro sono miracolosamente
scampati.
Bravi i due attori, a tratti accompagnati dal violoncello di Federica Vecchio, che si ritrovano a interpretare ruoli non semplici. Boni è un ottimo Armand D’Hubert, uomo di azione, ma anche
celebrale e meditativo, al contrario di Florian Feraud, un esaltato del
combattimento, ma allo stesso tempo leale, ben interpretato da Marcello Prayer,
che si trova a dare luce a questo personaggio pienamente fisico, che non ha
niente del lato celebrale e razionale dell’altro. I due protagonisti provengono
da due classi differenti: D’Hubert è aristocratico, Feraud è di umile origini e
questa differenza di classe viene fatta notare in particolar modo da due
differenti registri: alto per il primo, basso e volgare per il secondo, che a un
certo punto sfoggia anche un piccolo monologo in stretto dialetto barese –
stratagemma che a dir il vero non mi è piaciuto molto, perché non in linea con
l’ambiente francese e napoleonico in cui la vicenda è ambientata.
La regia di Alessio
Boni e Roberto Aldorasi è riuscita, i tempi attoriali sono rispettati, il tutto
risulta organico e coeso. Uno spettacolo, “I Duellanti”, in cui si possono
ravvisare molte chiavi di lettura. Non si tratta infatti di un semplice duello
tra due uomini, ma è un duello tra due classi sociali, tra istinto e ragione,
tra due poli tanto diversi quanto uguali. E poi, in qualche modo, non potremmo
dire che Feraud è l’alter ego di D’Hubert?
È infatti sempre Feraud a sfidarlo, non è mai il contrario, come se il generale
fosse lui stesso creatore di un duello immaginario, che diventa il suo senso d’esistenza,
senso di esistenza che se ne va, guarda caso, nel momento in cui D’Hubert sposa
la sua amata. Il suo obiettivo di vita qui cambia e Feraud se ne va, come una
presenza schizofrenica, che in realtà non è mai esistita.
Stefano
Duranti Poccetti
Questo
spettacolo mi ha dato l’ispirazione di scrivere una poesia, che mi permetto di
pubblicare:
Il Duellante
Per
ogni uomo che nasce esiste un duellante
Per
ogni anima, per ogni spirito
visibile
o invisibile esiste il duellante
il tuo duellante.
Nascosto
dietro a un cespuglio
nel mare
nel cielo
davanti a te
proprio davanti a te
Esiste
il duellante, il tuo duellante.
Stoccate
a destra e a sinistra
in su e in in giù
avanti e indietro
a nord sud ovest est
Ma
niente sangue, il mio duellante non lo colpisco…
Aiuto, un urlo! Sta dentro di me!
I DUELLANTI
di Joseph Conrad
traduzione e adattamento Francesco
Niccolini
drammaturgia di Alessio Boni, Roberto
Aldorasi, Marcello Prayer, Francesco Niccolini
con
Alessio Boni
Marcello Prayer
e con
Francesco Meoni
violoncello Federica Vecchio
maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
musiche Luca D’Alberto
scene Massimo Troncanetti
costumi Francesco Esposito
luci Giuseppe Filipponio
regia Alessio Boni, Roberto Aldorasi
produzione Goldenart
il testo dello spettacolo è nato da un
laboratorio tenutosi presso il Teatro della Pergola di Firenze
regolazione luci E.T.C. Italia www.etcconnect.com
Grande Stefano!!!
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