Roma, Teatro Lo Spazio (via Locri 42/44). Dal
2 all’11 ottobre 2015
La famiglia Iozzino era una famiglia di
contadini, gente semplice, forse ingenua, che credeva nei valori di uno Stato
sano, limpido. Sano come quella terra coltivata con il sudore a Casola di
Napoli, sano come la terra fertile, come le fave seminate al momento giusto da
Raffaele, poliziotto a Roma nella scorta del Presidente della Democrazia
Cristiana, Aldo Moro. La strage di Via Fani spezzò per sempre i suoi sogni,
quelli della sua famiglia, dei suoi colleghi di scorta e di un intero Paese,
forse, ancora ebbro di un “boom economico” che pian piano lasciavamo alle
spalle. Sogni come quelli dell’agente Francesco Zizzi, pugliese di Fasano,
chiamato a sostituire un collega proprio quella mattina, chitarrista e cantante
di piano bar, che aspirava al Festival di Sanremo e adorava Modugno.
Dà
quasi fastidio chiamare spettacolo il
racconto che Ulderico Pesce con il suo celebre, potente teatro di narrazione
porta in giro per l’Italia da quattro anni, ora al Teatro Lo Spazio di Roma
fino all’11 ottobre. Narra di fatti concreti, sconvolgenti, talmente palesi
grazie al lavoro del giudice Ferdinando Imposimato, da sembrare la
sceneggiatura di una fiction. Possibile?
No, molto di più, purtroppo. Verità. Repellente, inquietante. Confesso che ho
provato grande disagio nell’assistere alla performance di Pesce. Ricordo bene
quei giorni, seppur poco più che adolescente. Ricordo lo smarrimento nella
nostra scuola media, dove la polizia venne a prelevare il figlio di uno degli
agenti trucidati in quell’agguato. Ne parlavamo sottovoce, increduli. La forza
della violenza, della morte, ci sfiorò per la prima volta nelle nostre vite.
Qualcosa cambiò per sempre, come giustamente ci ricorda il titolo di questo
spettacolo. 16 marzo – 9 maggio 1978: 55 giorni di bugie e trame torbide,
continuate fino ai giorni attuali. Gli
inganni, i depistaggi, le menzogne, le assurdità seguite ad una strage prima e
ad un’esecuzione che doveva avvenire poi, ce le racconta, nell’espediente
drammaturgico, il fratello di Raffaele Iozzino (unico agente che riuscì a
sparare due colpi di pistola, “i colpi dello Stato”) Ciro, allora quindicenne.
Moro doveva morire, doveva essere fermato quel suo tentativo di apertura alla
sinistra, inviso ai servizi segreti americani e ad alti esponenti dello Stato
italiano, nonchè ad una parte del suo stesso partito.
Nel racconto, Ciro
dialoga col giudice Imposimato e pian piano vengono a galla tante verità, tante
“stranezze” procedurali, organismi speciali di polizia come l’UCIGOS, alle
dirette dipendenze del Ministro dell’Interno, all’epoca Francesco Cossiga, lo
smantellamento dell’Ispettorato antiterrorismo, attivissimo ed efficiente anche contro la Loggia Massonica P2,
disposizioni imbarazzanti come l’obbligo, per gli uomini della scorta di Moro,
di tenere i mitragliatori chiusi nel bagagliaio della macchina (mai blindata),
agenti dei servizi segreti presenti la mattina del 16 marzo ’78 in Via Fani,
tiratori scelti, su una moto, che completarono l’opera dei brigatisti, l’annuncio
in radio del rapimento mezzora prima che avvenisse, e tanto altro. Tutto
scoperto, negli anni a seguire, grazie al lavoro del giudice Imposimato. Una
rete enorme, in cui gli stessi brigatisti rossi (tutti a piede libero) sembrano
piccoli pesciolini intrappolati. Fino al colpo di scena finale, suffragato da
documenti, che Ciro Iozzino–Pesce svela al pubblico. Le rivelazioni di
Pieczenik, un esperto di terrorismo segretamente inviato in Italia dagli USA
durante il caso Moro, e ora (solo ora!) finalmente indagato, che ammise come la
decisione dell’uccisione di Moro fu presa da Cossiga stesso e presumibilmente
da Andreotti. Cinque ragazzi furono uccisi, oltre allo stesso Moro, per
spietata “ragion di Stato”. Quello Stato
che la mamma di Raffaele Iozzino sognava
“sano come la terra fertile” e del quale, in tanti anni, abbiamo
scoperto il letame. Solo in parte. Ad Ulderico Pesce e al giudice
Imposimato, il merito di non farcelo dimenticare, in un Paese anestetizzato che
sembra non aver memoria. Inizia bene e con molto pubblico la lunga e intensa
stagione del Teatro Lo Spazio.
Paolo
Leone
Roma, Teatro Lo Spazio (via Locri 42/44). Dal
2 all’11 ottobre 2015.
Ulderico Pesce in: moro – i 55 giorni che
cambiarono l’Italia, di Ulderico Pesce e Ferdinando Imposimato. Interventi
video di Ferdinando Imposimato. Regia di Ulderico Pesce.
Si ringrazia l’ufficio stampa del Teatro Lo
Spazio, Brizzi Comunicazione.
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