Teatro Oscar, Pacta dei
Teatri, Milano. Dal 9 a l' 11 ottobre 2015
Un elefante che vola!
Questo è quello che Arduino Terni, aviatore, cercatore di animali esotici da portare
nei circhi e nelle fiere d’Europa, deve
aver esclamato vedendo l’elefantessa Bombay sollevata in cielo da grosse funi,
per essere imbarcata a bordo del piroscafo Ilda, che l’avrebbe portata lontano,
tanto lontano dalla sua India, per approdare allo zoo di Milano.
Sembra una favola o
un racconto di Salgari, la storia di Bombe, chiamata confidenzialmente così dai
milanesi, al suo arrivo allo zoo dei giardini pubblici di Via Manin, nel
lontano 1939.
E’ una storia
milanese, della Milano dei giorni innocenti,
anche se alla vigilia della seconda guerra mondiale, perché, pare impossibile
ma è proprio così, il tempo passato è quasi sempre avvolto da nostalgia, da
ricordi piacevoli, da una patina di
malinconia, come una nebbia, in cui entriamo e da cui non vorremmo più uscire.
Forse perché ricerchiamo gli anni perduti della giovinezza.
Questo spettacolo è
un po’ addentrarsi nella nebbia di
Milano, cercarsi per come eravamo, per quello che ci faceva ridere, sorridere,
anche impaurire, risentire la melodia dell’organetto suonato da Bombe, con i
suoi occhialoni bianchi, lei, un gigante temuto ma anche ricercato da grandi e
piccini, cui tendeva la proboscide, come una
“pargoletta mano”, per avere
noccioline e soldini.
E intorno a lei, il
custode Pasquale, il direttore Augusto Molinar, cacciatore e studioso, la moglie Maria, i leoni, i coccodrilli, le
giraffe, gli orsi, e tutto il mondo che popolava lo zoo di Milano che chiuse
nel 1992 per ragioni che possiamo immaginare, magari non accettare, forse non
condividere. Pezzi di città e di storia che se ne vanno, perché la modernità è
stabilire regole non più legate al sentimento, alla spontaneità, alla buona
fede, ma a torto o a ragione, va accettata:
la storia va avanti.
E allora, ben vengano
spettacoli come questo diretto da Paolo Bignamini e recitato-raccontato da
Mario Cei, che ripercorrono la storia passata, come questa di Bombe,
elefantessa “musicante e ginnasta” strappata alla sua terra e portata su una terra a
lei ignota e lontana, per divertire la gente. Ma non è quello che fanno anche
gli uomini quando cambiano terra, costretti da ragioni di sopravvivenza? E se
Bombe fosse rimasta nella sua terra, sarebbe forse sopravvissuta fino al 1987 o
sarebbe morta uccisa da un cacciatore senza scrupoli per strappargli le zanne e
venderle a caro prezzo? Chi può dire tutto ciò?
Quello che possiamo
dire, è che lei qui divenne un’eroina amata e, per la sua imponenza, i suoi
barriti, la sua proboscide vorace, anche
temuta dai bimbi milanesi che però andavano ugualmente a vederla girare la
manovella dell’organetto, e allora la musica si sprigionava, malinconica,
delicata, per le strade della città.
Lo spettacolo, basato
sul libro di Maria Nijhuis, è poetico e garbato, favolistico e immaginifico,
anche la video installazione di Ahura-Mazdā contribuisce a dare alle parole un’ atmosfera onirica, da teatrino delle ombre, ombre che colano e
calano sullo schermo del passato e della memoria. E anche se si parla di guerra, di bombe vere,
di rovine, di morte, lo spettacolo ha un sapore irreale che ci delizia e che ci
cala in un mondo che non c’è più. E, almeno per un po’, ha la capacità di trasportarci su, in cielo, facendoci volare, come successe a Bombe, verso quella terra lontana, esotica, e
poi atterrare in una a noi più familiare.
Ora, la sua storia,
così legata a Milano, la possiamo solo rivivere, per non dimenticare,
per ricordare, per continuare a sognare, almeno per un po’. E poi l’organetto
tornerà muto e così la nostra memoria.
Daria
D.
Suonala ancora, Bombe.
Memorie di una elefantessa a Milano
Di Marta Nijhuis. Regia di
Paolo Bignamini
Con Mario Cei
Video-installazione di Ahura-Mazdā (Anna Caterina Dalmasso e Marta
Nijhuis)
Musiche originali di Le
Jacobin (Jacopo Bodini)
Aiuto regia Francesca
Barattini
Organizzazione Carlo Grassi
Produzione ScenAperta
Altomilanese Teatri
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