Teatro Oscar, Milano. 24 e
25 novembre 2015
Ci sono
piccoli/grandi spettacoli, come questo
“Rooms 2.0, per attrice e coro web”, che
mettono davanti alla verità, alla condizione umana presente, alle
schizofrenie di questa epoca “web 2.0”, eppure si pensa che siano cose lontane,
che non ci riguardino più di tanto,
perché ci reputiamo più smart, quasi
degli intoccabili, ma ogni tanto ci tastiamo la tasca per assicurarci che sia
lì, quell’aggeggio freddo e squadrato che ci fa sentire meno soli, che dovrebbe
collegarci al resto del mondo, fatto più
di immagini che di volti, di I like e
di chat, di Wahtsapp e di Twitter, di vita virtuale e di
manipolazioni inconsapevoli.
Elisabetta Mossa nel
monologo di Lisa Moras è una hikikomori italiana, una tipa sveglia,
simpatica, intelligente, ironica, alla soglia dei trent’anni, che decide un esperimento: isolarsi dal mondo, in linea con il termine giapponese che significa
letteralmente “stare in disparte, isolarsi”. Un fenomeno di a-socializzazione
nato in Giappone ma che ovviamente, proprio grazie, grazie? al web, si sta
diffondendo in tutto il mondo. Elisabetta/Olivia non accetta una vita normale,
un destino fatto di matrimonio, figli, lavoro, per cui sceglie questo
isolamento come la sua personale rivoluzione contro il conformismo dilagante ma
poi si rende conto che il suo isolamento è un 'altra forma di conformismo. Ma
che fare? Oggi lei vive nella rete e solo lì si sente sicura, nascosta sotto
una tenda trasparente, circondata da luci che a intermittenza si accendono ogni
qualvolta un messaggio arriva dalla chat, da voci anonime che approdano dal mondo del web per commentare,
per insultare, per criticare, per sedurre, in fondo per “esserci”, indossando una maglietta che dichiara “odio
tutti”, piazzata davanti alla telecamera per “esserci”, anche lei.
Ascolta e replica
alle voci che incombono nella sua solitudine, le uniche reali, almeno così sembra, sono quelle della madre e del tecnico della
lavatrice, una che dovrebbe rappresentare il calore, l’amore e l’altra, la vita
quotidiana fatta di piccole o grandi noie, cui lei cerca di sottrarsi cercando
un tutorial sul web. Perché la
solitudine è farsi tutto da soli, dal riparare gli oggetti, a curarsi, a
mangiare (in questo caso ci pensa la madre, però), a cercare la gratificazione
sessuale, a rimanere nell’anonimato, illudendoci di sentirsi più forti, più fighi, ma poi a piangere senza
essere visti, a dilaniarsi l’animo, a cercare un’identità, che sia il più falsa
possibile, perché di noi vogliamo dare solo la parte più cool.
La nostra hikikomori,
brava in questo monologo di presa di
coscienza, è carica di curiosità, di
ironia per quasi un terzo dello spettacolo, risponde agli assalitori
della chat con la giusta dose di intelligenza e di umorismo, veloce e
furba non vuole cascarci fino in fondo nel gioco perverso del web 2.0, poi
d’improvviso assume una drammaticità che ci spiazza, tocca la disperazione, la consapevolezza di essere
fragile, di non avere scopi, ideali,
disfa la tenda e se l’avvolge intorno al corpo, come un vestito, una
tuta mimetica per evitare il contagio dei virus da internet o un vestito da
sposa che non sarà mai deflorata, se non virtualmente. Ci lancia un messaggio
d'amore, sapremo coglierlo?
I
like, I like, I like, è un’ eco che si espande nella notte
perenne di internet, e forse Olivia doesn’t like tutto questo, ma ormai è entrata nel gioco perverso che i social
ci propongono, un’auto-reclusione cui nessuno l’ha spinta, se non la sua stessa paura di mostrarsi agli
altri per com’è veramente. Molti dei suoi “amici” la accusano di essere fake senza rendersi conto che anche loro
lo sono, tutto è dannatamente fake.
Vivere spiaccicati sugli schermi, come insetti, nel vuoto più assoluto, usando frasi fatte,
commenti idioti, che nascondono frustrazioni e mancanze, ma ripetendo gli
stessi comportamenti da cui si era tentato di fuggire.
E poi uscire di
scena. Abbandonare? Cedere? Snobbare? Chi se ne frega, se tanto ci sarà sempre
qualcuno che metterà I like alla tua morte.
Lisa Moras ci lascia
a pensare su quello che siamo diventati oggi. E pensarci ci spaventa, ma
esserne coscienti ci rassicura.
Daria
D.
Di Lisa Moras
Regia di Lisa Moras e Marco Bellocchio
Con Elisabetta Mossa
Sound design e programmazione Alberto
Biasutti
Scenografia e costumi Stefano Zullo
Regia Lisa Moras, Marco Bellocchio
Produzione about:blank/Associazione
K/SestoSpazio
Il 24 e 25 novembre 2015,
parte del Progetto DonneTeatroDiritti al Teatro Oscar, Milano, per la stagione PACTATeatroInProgress,
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