Arezzo, Teatro Virginian.
Mercoledì 11 novembre 2015
“Salvobuonfine
(bisognerebbe anche occupare le banche)” apre la stagione del Teatro Virginian
di Arezzo. Tutto parte dalla Bibbia, dalla parabola per eccellenza che oggi più
ci rappresenta, quella del figliol prodigo: un figlio decide di andarsene dal
suo paese per sperperare la parte della sua eredità e, una volta che si ripresenta
a casa senza soldi e senza speranze, il padre misericordioso festeggia il suo
ritorno uccidendo un agnello. Trasposta ai giorni nostri, nessuna storia si può
considerare più attuale in Italia, dove ormai i figli sono abituati a rimanere
con i genitori fino a quarant’anni o pretendono di vivere da soli, ma a spese
della famiglia e senza un obiettivo preciso né un progetto.
Un figlio nato dal
padre prima delle sue sorelle, ripete quasi ossessivamente Lorenzo Bartoli
(unico attore in scena) ironizzando sulla parabola, per ribadire il concetto
che il figlio di cui parla è il primogenito maschio e per questo – sembrerebbe
– il più importante. La colpa di questa deresponsabilizzazione collettiva di
chi è? Dei genitori troppo protettivi e poco punitivi, dei figli che si
approfittano della generosità dei genitori o della società che preferisce
vedere i giovani come eterni fuori corso e fa sì che rimandino continuamente le
scelte importanti?
Bartoli, classe ’75
diplomato alla scuola per attori del Teatro Stabile di Torino, è l’unico
narratore di “Salvobuonfine”, ma più di una volta sceglie di coinvolgere
direttamente il pubblico in sala nella lettura di alcuni pezzi di Padre e
Figlio in un simpatico gioco di parti. La scenografia è minimale: solo una
sdraio in cui verrà stesa una coperta di erba finta e, in un lato del
palcoscenico, un’asta con un microfono. Il protagonista, nel passaggio da
“figlio di padre” ad “adulto senza figlio”, racconta la sua storia puntellata
da telefonate, solleciti di pagamenti da parte di impiegati e funzionari. In
sottofondo un rimbombo regolare scandisce il tempo che passa come un orologio a
cucù, nella falsa speranza che arrivi all’ora stabilita un apparente sollievo.
Dal sottotitolo, “bisognerebbe
anche occupare le banche”, emerge un altro dramma italiano: la dipendenza e l’ossessione
per le rate, i mutui, i prestiti e parallelamente il potere delle banche che
approfitta dell’ingenuità e dell’ignoranza della popolazione per fare sempre
più guadagni. Non c’è comprensione del dolore altrui, non esiste assicurazione
sulla vita che tenga e così il protagonista di questo monologo autobiografico non
può far altro che esplodere in un sfogo pieno di rabbia contro una società
burocratizzata, che ci costringe all’illegalità. Una lotta tristemente inutile
e incompresa, prologo di uno stato di impotenza e snervamento a cui alla fine siamo
destinati.
Sara
Bonci
SALVOBUONFINE (bisognerebbe
anche occupare le banche)
di e con Lorenzo Bartoli
suoni e musiche Massimiliano
Bressan, Massimo Valerio
collaborazione artistica
Manuela Savioli
con il sostegno di ACTI
Teatri Indipendenti
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