13 novembre, 2015

“Salvobuonfine” di Lorenzo Bartoli. Figli bamboccioni e mutui trentennali come immagine dell’Italia. Di Sara Bonci


Arezzo, Teatro Virginian. Mercoledì 11 novembre 2015

“Salvobuonfine (bisognerebbe anche occupare le banche)” apre la stagione del Teatro Virginian di Arezzo. Tutto parte dalla Bibbia, dalla parabola per eccellenza che oggi più ci rappresenta, quella del figliol prodigo: un figlio decide di andarsene dal suo paese per sperperare la parte della sua eredità e, una volta che si ripresenta a casa senza soldi e senza speranze, il padre misericordioso festeggia il suo ritorno uccidendo un agnello. Trasposta ai giorni nostri, nessuna storia si può considerare più attuale in Italia, dove ormai i figli sono abituati a rimanere con i genitori fino a quarant’anni o pretendono di vivere da soli, ma a spese della famiglia e senza un obiettivo preciso né un progetto.
Un figlio nato dal padre prima delle sue sorelle, ripete quasi ossessivamente Lorenzo Bartoli (unico attore in scena) ironizzando sulla parabola, per ribadire il concetto che il figlio di cui parla è il primogenito maschio e per questo – sembrerebbe – il più importante. La colpa di questa deresponsabilizzazione collettiva di chi è? Dei genitori troppo protettivi e poco punitivi, dei figli che si approfittano della generosità dei genitori o della società che preferisce vedere i giovani come eterni fuori corso e fa sì che rimandino continuamente le scelte importanti?
Bartoli, classe ’75 diplomato alla scuola per attori del Teatro Stabile di Torino, è l’unico narratore di “Salvobuonfine”, ma più di una volta sceglie di coinvolgere direttamente il pubblico in sala nella lettura di alcuni pezzi di Padre e Figlio in un simpatico gioco di parti. La scenografia è minimale: solo una sdraio in cui verrà stesa una coperta di erba finta e, in un lato del palcoscenico, un’asta con un microfono. Il protagonista, nel passaggio da “figlio di padre” ad “adulto senza figlio”, racconta la sua storia puntellata da telefonate, solleciti di pagamenti da parte di impiegati e funzionari. In sottofondo un rimbombo regolare scandisce il tempo che passa come un orologio a cucù, nella falsa speranza che arrivi all’ora stabilita un apparente sollievo.
Dal sottotitolo, “bisognerebbe anche occupare le banche”, emerge un altro dramma italiano: la dipendenza e l’ossessione per le rate, i mutui, i prestiti e parallelamente il potere delle banche che approfitta dell’ingenuità e dell’ignoranza della popolazione per fare sempre più guadagni. Non c’è comprensione del dolore altrui, non esiste assicurazione sulla vita che tenga e così il protagonista di questo monologo autobiografico non può far altro che esplodere in un sfogo pieno di rabbia contro una società burocratizzata, che ci costringe all’illegalità. Una lotta tristemente inutile e incompresa, prologo di uno stato di impotenza e snervamento a cui alla fine siamo destinati.

Sara Bonci


SALVOBUONFINE (bisognerebbe anche occupare le banche)
di e con Lorenzo Bartoli
suoni e musiche Massimiliano Bressan, Massimo Valerio
collaborazione artistica Manuela Savioli

con il sostegno di ACTI Teatri Indipendenti 

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