Il nuovo pianismo
italiano esiste ed è promettente, come si evince dal disco della Deutsche Grammophon uscito di recente e
di cui mi accingo a parlare. Prende il nome di “Après une lécture de Liszt” (che recupera il titolo lisztiano della
composizione “Après une lécture de Dante”,
presente nella raccolta) e il pianista è il calabrese Giuseppe Albanese, che si
muove a suo agio su un repertorio assai complesso e variegato, qual è appunto
quello presentato. I brani sono otto e si parte dall’onomatopeico “Au Bord d’une source”, dove il
compositore delinea con limpidezza e con dolce tenerezza evocativa, a volte con
temi giocosi, la sua sensazione di stare nei pressi di una fonte. È per questo
che la musica pare proprio così “acquatica”, nitida fino allo splendore.
Certo, si tratta di una sorgente idealizzata da uno spirito romantico, abituato a dare un impasto altamente poetico e concettuale ai suoi pezzi. Questo preambolo per arrivare a dire che Albanese si trova proprio vicino a questo spirito ed entra pienamente in sintonia con l’armonia dell’autore ungherese, essendo estremamente lirico e soave quando richiesto e incisivo e determinato in tutti quei frangenti dove esplodono la passione e il vigore lisztiani, che il compositore non poteva contenere neanche nei brani più miti. Il pianista italiano è perfettamente a suo agio sulla tastiera e, non solo dà un’ottima interpretazione dello spartito, ma lo completa con la sua energia particolare, vigorosa, fresca, unita a una tecnica magistrale; elementi, questi che ho elencato, che ritroviamo in tutti i brani qui proposti. Il tema “acquatico” è presente anche nel pezzo seguente, “Les jeaux d’eaux à la Villa d’Este”, dove la limpida e lirica melodia precedente si trasforma in una maggiormente frizzante, mettendo così in luce più il tema del gioco – attraverso danzanti arpeggi – rispetto a quello dell’acqua in sé e per sé; elemento giocoso dove Albanese si trova ancora una volta pienamente preparato, corrispondente allo spirito ludico del brano. Si abbandonano a questo punto, per un attimo, gli “Années de pèlerinage”, che saranno ripresi e completati più tardi con “Après une lecture de Dante”, a favore della seconda leggenda “Saint-François de Paule marchant sur les eaux”. Qui è evidente fin da subito un’atmosfera mistica, arcana, dove predomina una grande quantità di non detto, d’indicibile, di soprannaturale; si tratta di un’atmosfera cristallizzata, proprio come se ci trovassimo davanti a una visione, tratteggiata con queste note che cadono a strapiombo, a peso morto sulla tastiera; note che sembrano volerci spiegare qualcosa, ma impossibilitate nel farlo, come ingabbiate nell’incapacità dell’uomo di poter parlare del soprannaturale. Sarà per questo che poi la tastiera s’infuria e che attraverso crescendo eccezionali ci porta verso delle sequenze quasi rabbiose e disperate, dove Albanese, giustamente, non ha paura di osare, non ha paura di esagerare, ed è per questo, grazie al suo coraggio e alla sua velocità di esecuzione, che quel contrasto a botta e risposta tra la mano destra e la mano sinistra risulta così incisivo. Alla fine si torna a una dimensione di stasi, catartica… il miracolo è avvenuto, ma noi, da uomini, abbiamo saputo parlarne soltanto attraverso le passioni umane. Nonostante questo non si smette mai di cercare di elevarsi verso un alto grado di spiritualità. Non è molto diverso lo schema dell’ “Après une lecture de Dante”, il brano numero quattro del disco, che alterna momenti di stasi, mistici, a momenti estremamente ardenti. In questo caso non ci si riferisce più a una reminiscenza religiosa, ma letteraria, però non per questo la partitura non è ugualmente caricata di un carattere fortemente spirituale, come sono presenti d’altronde quegli impeti di grande passione, tanto cari al compositore, dove Albanese, rispettando i piano e i forte, sempre asciutto e chiaro, anche nelle scale più vertiginose, fa sì che tutte le note escano in maniera pienamente pulita. Anche in questo caso il pianista italiano si muove bene nel suddetto dualismo e, da contemplativo, s’inarca poi verso quei sentimenti intensi e forti con grande facilità, non smettendo mai di trasmettere sul pianoforte il suo grande entusiasmo. Tra trilli, rapidissime scale e crescendo solenni, ci porta alla fine di questa composizione strappandoci applausi e rendendoci intensi sentimenti. Nel quinto brano, “Rhapsodie Espagnole”, lo spirito lisztiano s’infarcisce di una sensuale vena spagnoleggiante, senza comunque rinunciare a una scrittura densa e virtuosa, che a tratti diventa lirica e anche melanconica, dove la mano del pianista italiano dà il giusto valore timbrico ed emotivo ai fraseggi. La melodia a volte prende il volo, diventando ritmica e danzante, ballabile. Danzante, seppur di una danza ieratica, è anche il sesto brano “Danse des Sylphes”, che, per la durata dei suoi quattro minuti, mantiene un andamento ipnotico che potrebbe appartenere a una ninna nanna o un carillon. Si tratta del primo dei tre brani finali consacrato alle trascrizioni lisztiane delle opere, la danza della quale abbiamo parlato viene infatti da “La damnation de Faust” di Berlioz. Il successivo “Isoldens Liebestod” è invece una trascrizione dal “Tristan und Isolde” di Wagner, mentre l’ultimo brano in programma, “Réminiscences de Norma”, si sviluppa attraverso i celebri temi belliniani. Anche in questa triade che completa la raccolta Albanese se ne dimostra all’altezza e suona con cura l’ipnotica danza di matrice berlioziana, come del resto è perfettamente a suo agio nella maestosità, sacralità, intensità wagneriane. L’ultimo brano in programma, il più lungo della raccolta con i suoi diciassette minuti e mezzo, si dimostra come una sorta di riassunto pianistico dell’opera di Bellini, una vera e propria fantasia sulla “Norma”, dove l’eco dei motivi del compositore italiano sono inseriti all’interno del già citato stile lisztiano, composto da virtuosismo, virilità, passionalità, ma anche da ieraticità e delicatezza. Come per gli altri brani, anche qui l’interpretazione del pianista è eccellente, sia a livello tecnico che viscerale, dando prova di riuscire a sfruttare tutte le variegate timbriche della tastiera, rendendoci così un risultato multicolore, senza perdere organicità e uniformità. Bravo nei crescendo, nei piano e forte, interpretando al meglio i preziosismi dello spartito, ne fa scaturire un risultato suadente ed evocativo.
Certo, si tratta di una sorgente idealizzata da uno spirito romantico, abituato a dare un impasto altamente poetico e concettuale ai suoi pezzi. Questo preambolo per arrivare a dire che Albanese si trova proprio vicino a questo spirito ed entra pienamente in sintonia con l’armonia dell’autore ungherese, essendo estremamente lirico e soave quando richiesto e incisivo e determinato in tutti quei frangenti dove esplodono la passione e il vigore lisztiani, che il compositore non poteva contenere neanche nei brani più miti. Il pianista italiano è perfettamente a suo agio sulla tastiera e, non solo dà un’ottima interpretazione dello spartito, ma lo completa con la sua energia particolare, vigorosa, fresca, unita a una tecnica magistrale; elementi, questi che ho elencato, che ritroviamo in tutti i brani qui proposti. Il tema “acquatico” è presente anche nel pezzo seguente, “Les jeaux d’eaux à la Villa d’Este”, dove la limpida e lirica melodia precedente si trasforma in una maggiormente frizzante, mettendo così in luce più il tema del gioco – attraverso danzanti arpeggi – rispetto a quello dell’acqua in sé e per sé; elemento giocoso dove Albanese si trova ancora una volta pienamente preparato, corrispondente allo spirito ludico del brano. Si abbandonano a questo punto, per un attimo, gli “Années de pèlerinage”, che saranno ripresi e completati più tardi con “Après une lecture de Dante”, a favore della seconda leggenda “Saint-François de Paule marchant sur les eaux”. Qui è evidente fin da subito un’atmosfera mistica, arcana, dove predomina una grande quantità di non detto, d’indicibile, di soprannaturale; si tratta di un’atmosfera cristallizzata, proprio come se ci trovassimo davanti a una visione, tratteggiata con queste note che cadono a strapiombo, a peso morto sulla tastiera; note che sembrano volerci spiegare qualcosa, ma impossibilitate nel farlo, come ingabbiate nell’incapacità dell’uomo di poter parlare del soprannaturale. Sarà per questo che poi la tastiera s’infuria e che attraverso crescendo eccezionali ci porta verso delle sequenze quasi rabbiose e disperate, dove Albanese, giustamente, non ha paura di osare, non ha paura di esagerare, ed è per questo, grazie al suo coraggio e alla sua velocità di esecuzione, che quel contrasto a botta e risposta tra la mano destra e la mano sinistra risulta così incisivo. Alla fine si torna a una dimensione di stasi, catartica… il miracolo è avvenuto, ma noi, da uomini, abbiamo saputo parlarne soltanto attraverso le passioni umane. Nonostante questo non si smette mai di cercare di elevarsi verso un alto grado di spiritualità. Non è molto diverso lo schema dell’ “Après une lecture de Dante”, il brano numero quattro del disco, che alterna momenti di stasi, mistici, a momenti estremamente ardenti. In questo caso non ci si riferisce più a una reminiscenza religiosa, ma letteraria, però non per questo la partitura non è ugualmente caricata di un carattere fortemente spirituale, come sono presenti d’altronde quegli impeti di grande passione, tanto cari al compositore, dove Albanese, rispettando i piano e i forte, sempre asciutto e chiaro, anche nelle scale più vertiginose, fa sì che tutte le note escano in maniera pienamente pulita. Anche in questo caso il pianista italiano si muove bene nel suddetto dualismo e, da contemplativo, s’inarca poi verso quei sentimenti intensi e forti con grande facilità, non smettendo mai di trasmettere sul pianoforte il suo grande entusiasmo. Tra trilli, rapidissime scale e crescendo solenni, ci porta alla fine di questa composizione strappandoci applausi e rendendoci intensi sentimenti. Nel quinto brano, “Rhapsodie Espagnole”, lo spirito lisztiano s’infarcisce di una sensuale vena spagnoleggiante, senza comunque rinunciare a una scrittura densa e virtuosa, che a tratti diventa lirica e anche melanconica, dove la mano del pianista italiano dà il giusto valore timbrico ed emotivo ai fraseggi. La melodia a volte prende il volo, diventando ritmica e danzante, ballabile. Danzante, seppur di una danza ieratica, è anche il sesto brano “Danse des Sylphes”, che, per la durata dei suoi quattro minuti, mantiene un andamento ipnotico che potrebbe appartenere a una ninna nanna o un carillon. Si tratta del primo dei tre brani finali consacrato alle trascrizioni lisztiane delle opere, la danza della quale abbiamo parlato viene infatti da “La damnation de Faust” di Berlioz. Il successivo “Isoldens Liebestod” è invece una trascrizione dal “Tristan und Isolde” di Wagner, mentre l’ultimo brano in programma, “Réminiscences de Norma”, si sviluppa attraverso i celebri temi belliniani. Anche in questa triade che completa la raccolta Albanese se ne dimostra all’altezza e suona con cura l’ipnotica danza di matrice berlioziana, come del resto è perfettamente a suo agio nella maestosità, sacralità, intensità wagneriane. L’ultimo brano in programma, il più lungo della raccolta con i suoi diciassette minuti e mezzo, si dimostra come una sorta di riassunto pianistico dell’opera di Bellini, una vera e propria fantasia sulla “Norma”, dove l’eco dei motivi del compositore italiano sono inseriti all’interno del già citato stile lisztiano, composto da virtuosismo, virilità, passionalità, ma anche da ieraticità e delicatezza. Come per gli altri brani, anche qui l’interpretazione del pianista è eccellente, sia a livello tecnico che viscerale, dando prova di riuscire a sfruttare tutte le variegate timbriche della tastiera, rendendoci così un risultato multicolore, senza perdere organicità e uniformità. Bravo nei crescendo, nei piano e forte, interpretando al meglio i preziosismi dello spartito, ne fa scaturire un risultato suadente ed evocativo.
Elogi al pianista
dunque, come elogi vanno all’organizzazione di questa raccolta, di cui si
apprezza il titolo, che riprende la sopracitata composizione dell’autore e che
con quell’ “Après une lecture de Liszt”
ci sembra adatto per parlare in modo approfondito della figura del pianista
ungherese. Si apprezza infine anche la scelta dei brani, che mettono insieme il
Liszt “pellegrino” e viaggiatore, quello spirituale, nonché l’inesauribile
sperimentatore e trascrittore.
Stefano
Duranti Poccetti
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