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28 dicembre, 2015

“Gabriella Deodato”. Come scavare all’interno dell’anima attraverso la fotografia. Intervista di Stefano Duranti Poccetti


Gabriella Deodato è una fotografa che ho avuto il piacere di conoscere non molto tempo fa a Roma. Da quella chiacchierata, nasce oggi la seguente intervista, a questa donna che utilizza la macchina fotografica come mezzo artistico per mettere in risalto le peculiarità dei suoi soggetti. Ascoltiamola…

Ciao Gabriella, per iniziare potresti brevemente parlarmi della tua formazione artistica?

Ciao Stefano. La prima risposta che mi verrebbe in mente è che per creare non c’è bisogno sempre di studiare, magari si studia per perfezionare una tecnica, ma il dare corpo ai propri Sogni è innato. Si può imparare a fotografare ma non si impara un’inquadratura, si può imparare Photoshop ma non si impara a creare. Comunque, io ho studiato a Parigi. Ho fatto una scuola di Fotografia, Icart Photo, e ho studiato dal 1999 al 2001, anno nel quale mi sono diplomata. È iniziato tutto per caso, perché in realtà mi ero iscritta alla Sorbonne per studiare lingue (logico proseguimento del mio aver fatto la scuola francese), ma mi annoiavo e allora ho iniziato ad andare in giro per la città fotografando. All’epoca fotografavo monumenti, poi è arrivata la mia predilezione odierna per la ritrattistica.
 
Che cosa significa per te fotografare?

Fotografare è tutta la mia vita. Significa esprimermi e potermi esprimere, significa (provare a) tirare fuori ciò che di più nascosto vedo e intravedo nella persona che ho di fronte. Per me fotografare è prima di tutto un esercizio psicologico e confidenziale: parlo molto con i miei soggetti, in modo da metterli a loro agio e da creare una fiducia. La mia massima aspirazione è che si confidino con me attraverso il mio obiettivo fotografico. È questo il mio… obiettivo!

C’è un servizio che hai fatto che ti è rimasto più impresso rispetto agli altri?

… Io fotografo volti noti e non; sicuramente i servizi che mi sono rimasti più impressi sono quelli fatti con Personaggi del calibro di Iva Zanicchi o Giorgio Albertazzi, per la loro grandezza artistica, ma anche quando fotografo persone “normali” in realtà tutti mi rimangono impressi, perché siamo tutti unici e ognuno di voi mi dona qualcosa. Ogni mio servizio fotografico è come creare una storia: studio una location, un mood, un qualcosa inerente a chi ho di fronte da raccontare… o meglio da (s)velare. Il mondo è location.
Ogni mia modella/o (intendo chi posa per me) è una persona ricca di sfumature ed imperfezioni, quindi inesauribile fonte di ricerca e fotografia. Tutti mi rimangono impressi, perché li vivo tutti in prima persona. Scatto finché non si riesce a tirare fuori ciò che avevo intravisto e che puntualmente appare, a volte anche malgrado il soggetto fotografato, che vuole nascondere certe fragilità (che a parer mio, specialmente nella donna, sono anche la sua ricchezza).

Lo standard di oggi è quello di cercare di tirare fuori a tutti i costi il lato più provocatorio della donna, anche in quei soggetti dove questo non è il lato preminente. Tu invece hai un’altra idea di fotografia, tu vuoi tirare fuori da ciascuno il suo lato più rappresentativo e non per forza questo deve essere quello provocatorio.

Questa tua domanda, alla quale senza volere ho già un po’ risposto nella precedente, deriva in effetti dalla nostra chiacchierata a Roma di qualche tempo fa. Sì, la provocazione ad ogni costo è secondo me molto stupida… siamo arrivati al punto che oggi, in questa società, è diventato l’essere fedeli o coperti la vera provocazione. Credo che la donna di oggi sia troppo standard, cioè voglia per forza assomigliare a qualcun altro e poco a sé stessa. Ognuna di noi ha i suoi punti di forza, nella persona e nella personalità, e secondo me si dovrebbe nutrire quelli, per poi arrivare ad un’età non più giovane senza il bisogno di ritoccare l’esterno se l’interno è solido. Io cerco di dialogare con chi ho di fronte, proponendo che l’Unicità di ognuno di noi risiede, nostro malgrado (e soprattutto) nelle nostre imperfezioni. Se si ha un corpo morbido per esempio, perché scoprirlo per forza rendendolo a volte volgare? Non è meglio un “vedo non vedo” che lascia solo intuite ciò cje  Femminilità nasconde? Spesso si pensa che provocare sia l’unica via per farsi vedere e sentire, quando invece un suggerire e/o un Silenzio sono forse più adatti ed invitanti.

Che cos’è per te la sensualità?

Sensualità è suggerire e mai svelare. Sensualità è aprire bocca ed essere interessanti, in modo che un uomo si accorga solo dopo della bellezza esteriore. Sensualità è esserci e non esserci al contempo, ma non come strategia, bensì come Modo di essere.

Di solito, al centro della tua attenzione fotografica sta l’essere umano. Sei un po’ una ritrattista, perché questo? Cosa cerchi dentro l’essere umano?

L’essere umano è sociologicamente molto interessante, ha mille sfaccettature. Lo “still life” (fotografare oggetti) mi è sempre interessato meno, a parte il primo periodo in cui fotografavo monumenti a Parigi. Fotografare oggetti risiede più nella tecnica, è davvero complicato e non ci puoi dialogare; Io invece adoro dialogare e scavare dentro a chi ho di fronte, che me lo permetta o no. Adoro i tête-à-tête fotografici! Dentro l’essere umano cerco tutto ciò che mi può comunicare, in bene e in male. Cerco le cicatrici e le gioie, cerco i segni del tempo e i suoi sogni futuri, cerco le sue fragilità, che spesso sono malcelate da aggressività; cerco di liberare la Femminilità, che spesso si annida e si annoda in punti a noi stessi sconosciuti.

La fotografia, quanto è Arte e quanto è mestiere?

È Arte tanto quanto mestiere, e viceversa. Posso dirti di quanto è per me Arte e meno mestiere, anche se per vivere creare non basta e quindi diventa automaticamente Mestiere. Mestiere significa per me fare le foto ai matrimoni, anche se sempre con il mio occhio artistico, oppure compleanni o altri eventi. Arte è creare Storie come ti accennavo poco fa, come un abito su misura per ognuno. La Fotografia diventa Arte nel momento in cui ci si allontana dalla banalità del quotidiano e ci fa vedere diversi dal solito, lasciando però che noi siamo pur sempre noi. È mestiere quando faccio book prettamente cinematografici o per agenzie, quindi standard.

Chi è Gabriella lontano dalla macchina fotografica?

Diciamo che mi risulta difficile auto-definirmi e non lo trovo nemmeno giusto, quindi proverò a rispondere nel modo più obiettivo e conciso possibile. Gabriella: la più grande carnefice di sé stessa nel volersi evolvere, raramente soddisfatta appieno di sé e sempre desiderosa di ottenere di più (da sé e dagli altri), leale, impulsiva e sincera in modo disarmante. La sincerità credo sia il mio più grande pregio e al contempo il mio più grande difetto. Esigente, difficilmente perdono l’ingratitudine, ma sempre la buona fede. Inoltre mi sento Solare e in continua evoluzione. Pretendo tutto perché do tutto, quindi sono un’estremista. J (Come artista: le stesse identiche cose!!!!!) Cerco sempre di circondarmi di chi è come me o migliore di me, per carpire dagli altri sempre maggiori abilità. Detesto l’ipocrisia e la mediocrità; tendo quindi ad isolarmi e ad essere molto selettiva nelle amicizie. Essendo libera professionista, non devo per forza frequentare gente con cui non vado d’accordo, quindi, tranne lavori importanti, mi circondo di pochi ma buoni. Non voglio sembrare presuntuosa: gentile con tutti ma vera per pochi.

Progetti futuri?

Tanti, tanti, tanti e ogni giorno mi sveglio con nuove idee. Ho in programma il mio secondo libro fotografico a maggio/giugno prossimo. Il primo “Luce q.b. Ricette d’aMore”, edito dalla casa editrice Alterego di Viterbo, è uscito a luglio scorso e con mia grande soddisfazione devo dire che è finita la prima tiratura di 100 copie. Esso tratta della Luce che ognuno di noi possiede ed è suddiviso per capitoli inerenti, appunto, alla Luce.
In progetto anche una mostra, e sicuramente farmi conoscere il più possibile in ambito artistico.
Ti ringrazio infinitamente, Stefano, per questa intervista. A presto!

Curata da Stefano Duranti Poccetti

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