Gabriella
Deodato è una fotografa che ho avuto il piacere di conoscere non molto tempo fa
a Roma. Da quella chiacchierata, nasce oggi la seguente intervista, a questa
donna che utilizza la macchina fotografica come mezzo artistico per mettere in
risalto le peculiarità dei suoi soggetti. Ascoltiamola…
Ciao
Gabriella, per iniziare potresti brevemente parlarmi della tua formazione
artistica?
Ciao Stefano. La
prima risposta che mi verrebbe in mente è che per creare non c’è bisogno sempre
di studiare, magari si studia per perfezionare una tecnica, ma il dare corpo ai
propri Sogni è innato. Si può imparare a fotografare ma non si impara un’inquadratura,
si può imparare Photoshop ma non si impara a creare. Comunque, io ho studiato a
Parigi. Ho fatto una scuola di Fotografia, Icart Photo, e ho studiato dal 1999
al 2001, anno nel quale mi sono diplomata. È iniziato tutto per caso, perché in
realtà mi ero iscritta alla Sorbonne per studiare lingue (logico proseguimento
del mio aver fatto la scuola francese), ma mi annoiavo e allora ho iniziato ad
andare in giro per la città fotografando. All’epoca fotografavo monumenti, poi
è arrivata la mia predilezione odierna per la ritrattistica.
Che
cosa significa per te fotografare?
Fotografare è tutta
la mia vita. Significa esprimermi e potermi esprimere, significa (provare a)
tirare fuori ciò che di più nascosto vedo e intravedo nella persona che ho di
fronte. Per me fotografare è prima di tutto un esercizio psicologico e
confidenziale: parlo molto con i miei soggetti, in modo da metterli a loro agio
e da creare una fiducia. La mia massima aspirazione è che si confidino con me
attraverso il mio obiettivo fotografico. È questo il mio… obiettivo!
… Io fotografo volti
noti e non; sicuramente i servizi che mi sono rimasti più impressi sono quelli
fatti con Personaggi del calibro di Iva Zanicchi o Giorgio Albertazzi, per la loro
grandezza artistica, ma anche quando fotografo persone “normali” in realtà
tutti mi rimangono impressi, perché siamo tutti unici e ognuno di voi mi dona
qualcosa. Ogni mio servizio fotografico è come creare una storia: studio una
location, un mood, un qualcosa inerente a chi ho di fronte da raccontare… o
meglio da (s)velare. Il mondo è location.
Ogni mia modella/o
(intendo chi posa per me) è una persona ricca di sfumature ed imperfezioni,
quindi inesauribile fonte di ricerca e fotografia. Tutti mi rimangono impressi,
perché li vivo tutti in prima persona. Scatto finché non si riesce a tirare
fuori ciò che avevo intravisto e che puntualmente appare, a volte anche malgrado
il soggetto fotografato, che vuole nascondere certe fragilità (che a parer mio,
specialmente nella donna, sono anche la sua ricchezza).
Lo
standard di oggi è quello di cercare di tirare fuori a tutti i costi il lato
più provocatorio della donna, anche in quei soggetti dove questo non è il lato
preminente. Tu invece hai un’altra idea di fotografia, tu vuoi tirare fuori da
ciascuno il suo lato più rappresentativo e non per forza questo deve essere
quello provocatorio.
Questa tua domanda, alla
quale senza volere ho già un po’ risposto nella precedente, deriva in effetti
dalla nostra chiacchierata a Roma di qualche tempo fa. Sì, la provocazione ad
ogni costo è secondo me molto stupida… siamo arrivati al punto che oggi, in
questa società, è diventato l’essere fedeli o coperti la vera provocazione.
Credo che la donna di oggi sia troppo standard, cioè voglia per forza assomigliare
a qualcun altro e poco a sé stessa. Ognuna di noi ha i suoi punti di forza,
nella persona e nella personalità, e secondo me si dovrebbe nutrire quelli, per
poi arrivare ad un’età non più giovane senza il bisogno di ritoccare l’esterno
se l’interno è solido. Io cerco di dialogare con chi ho di fronte, proponendo
che l’Unicità di ognuno di noi risiede, nostro malgrado (e soprattutto) nelle
nostre imperfezioni. Se si ha un corpo morbido per esempio, perché scoprirlo
per forza rendendolo a volte volgare? Non è meglio un “vedo non vedo” che
lascia solo intuite ciò cje Femminilità
nasconde? Spesso si pensa che provocare sia l’unica via per farsi vedere e
sentire, quando invece un suggerire e/o un Silenzio sono forse più adatti ed
invitanti.
Che
cos’è per te la sensualità?
Sensualità è
suggerire e mai svelare. Sensualità è aprire bocca ed essere interessanti, in
modo che un uomo si accorga solo dopo della bellezza esteriore. Sensualità è
esserci e non esserci al contempo, ma non come strategia, bensì come Modo di
essere.
Di
solito, al centro della tua attenzione fotografica sta l’essere umano. Sei un
po’ una ritrattista, perché questo? Cosa cerchi dentro l’essere umano?
L’essere umano è
sociologicamente molto interessante, ha mille sfaccettature. Lo “still life”
(fotografare oggetti) mi è sempre interessato meno, a parte il primo periodo in
cui fotografavo monumenti a Parigi. Fotografare oggetti risiede più nella
tecnica, è davvero complicato e non ci puoi dialogare; Io invece adoro
dialogare e scavare dentro a chi ho di fronte, che me lo permetta o no. Adoro i
tête-à-tête fotografici! Dentro l’essere umano cerco tutto ciò che mi può
comunicare, in bene e in male. Cerco le cicatrici e le gioie, cerco i segni del
tempo e i suoi sogni futuri, cerco le sue fragilità, che spesso sono malcelate
da aggressività; cerco di liberare la Femminilità, che spesso si annida e si
annoda in punti a noi stessi sconosciuti.
La
fotografia, quanto è Arte e quanto è mestiere?
È Arte tanto quanto
mestiere, e viceversa. Posso dirti di quanto è per me Arte e meno mestiere,
anche se per vivere creare non basta e quindi diventa automaticamente Mestiere.
Mestiere significa per me fare le foto ai matrimoni, anche se sempre con il mio
occhio artistico, oppure compleanni o altri eventi. Arte è creare Storie come
ti accennavo poco fa, come un abito su misura per ognuno. La Fotografia diventa
Arte nel momento in cui ci si allontana dalla banalità del quotidiano e ci fa
vedere diversi dal solito, lasciando però che noi siamo pur sempre noi. È
mestiere quando faccio book prettamente cinematografici o per agenzie, quindi
standard.
Chi
è Gabriella lontano dalla macchina fotografica?
Diciamo che mi risulta difficile auto-definirmi e non lo trovo nemmeno
giusto, quindi proverò a rispondere nel modo più obiettivo e conciso possibile.
Gabriella: la più grande carnefice di sé stessa nel volersi evolvere, raramente
soddisfatta appieno di sé e sempre desiderosa di ottenere di più (da sé e dagli
altri), leale, impulsiva e sincera in modo disarmante. La sincerità credo sia
il mio più grande pregio e al contempo il mio più grande difetto. Esigente,
difficilmente perdono l’ingratitudine, ma sempre la buona fede. Inoltre mi
sento Solare e in continua evoluzione. Pretendo tutto perché do tutto, quindi
sono un’estremista. J (Come artista: le
stesse identiche cose!!!!!) Cerco sempre di circondarmi di chi è come me o
migliore di me, per carpire dagli altri sempre maggiori abilità. Detesto l’ipocrisia
e la mediocrità; tendo quindi ad isolarmi e ad essere molto selettiva nelle
amicizie. Essendo libera professionista, non devo per forza frequentare gente
con cui non vado d’accordo, quindi, tranne lavori importanti, mi circondo di
pochi ma buoni. Non voglio sembrare presuntuosa: gentile con tutti ma vera per
pochi.
Progetti
futuri?
Tanti, tanti, tanti e
ogni giorno mi sveglio con nuove idee. Ho in programma il mio secondo libro
fotografico a maggio/giugno prossimo. Il primo “Luce q.b. Ricette d’aMore”, edito dalla casa editrice Alterego di
Viterbo, è uscito a luglio scorso e con mia grande soddisfazione devo dire che
è finita la prima tiratura di 100 copie. Esso tratta della Luce che ognuno di
noi possiede ed è suddiviso per capitoli inerenti, appunto, alla Luce.
In progetto anche una
mostra, e sicuramente farmi conoscere il più possibile in ambito artistico.
Ti ringrazio
infinitamente, Stefano, per questa intervista. A presto!
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