Davide
Rocco Colacrai è un giovane scrittore, che ha già collezionato molti
riconoscimenti e premi letterari. La sua ultima opera è “Le trentatré versioni
di un’ape di mezzanotte”, una raccolta di poesie della quale l’autore ci
parlerà durante l’intervista…
Ciao
Davide, per iniziare potresti parlarmi brevemente della tua formazione
letteraria e dei lavori da te già pubblicati?
Ciao Stefano. Dunque,
non ho una formazione letteraria in senso tecnico o classico, ma mi sono
formato leggendo molto e mettendo in relazione le domande che la pagina scritta
mi sottoponeva con il mio essere uomo e con il (mio) vivere quotidiano. Sono
fondamentalmente una persona curiosa, e ho sempre ficcanasato al di là dei
consigli, delle indicazioni, delle mode, degli studi. Tutto questo
probabilmente è possibile ritrovarlo nei miei tre lavori già pubblicati:
Frammenti di parole (GDS Edizioni, 2010), SoundtrackS (David and Matthaus,
2014) e Le trentatré versioni di un’ape di mezzanotte (Progetto Cultura
Edizioni, 2015).
Hai
vinto anche molti premi…
Qualcuno mi ricorda
sovente che ne ho vinti persino troppi. In realtà sono dell’idea che non si
possa attribuire una quantificazione ai premi vinti, perché ogni premio
solitamente è legato ad una determinata poesia e significa che il messaggio
racchiuso nel grembo di quella poesia ha raggiunto il suo destinatario e si è
compiuto. Comunque diciamo pure che ho una casa piena di riconoscimenti.
Poi
si arriva a “Le trentatré versioni di un’ape di mezzanotte”. Parlami di questo
libro, dei suoi contenuti e dello stile da te usato.
Sono solito pensare
che ogni progetto si realizza quando il momento è maturo. Pertanto ho
partecipato con una silloge inedita, cioè una raccolta di poesie, al Premio 13
e sono risultato tra i vincitori, di conseguenza ho firmato un contratto
editoriale ed è nato il mese scorso questo libro. Come si può evincere dal
titolo –che sovente è oggetto di dubbi e domande–, il mio lavoro raccoglie un
insieme di storie molto diverse tra di loro eppure legate da un comune denominatore
rappresentato dalla vita, pertanto ogni poesia è una versione, una
declinazione, un colore di “un’ape di mezzanotte”, e quindi è il poeta che
prende per mano il lettore e gli mostra finestre di se stesso, del lettore che
diventa poeta, da cui è possibile affacciarsi. Benché ogni storia sia
caratterizzata dal suo stile, questa multiformità dell’ape-vita si è tramutata
in una specie di “concept libro”: tante storie e storie diverse, ognuna delle
quali, come emerge dalla poesia conclusiva del libro, è una derivazione della
nascita, pertanto della vita.
Fai
uso di un codice linguistico particolare, stilisticamente multiforme, da dove
viene questo modo di porsi verso la scrittura?
La curiosità a cui
accennavo prima mi porta inevitabilmente a sperimentare, e, in questo modo, a
superare di volta in volta i limiti che sono sottesi, o intrinseci, alla
parola. Così mi piace e mi diverto a creare composizioni di parole e a plasmare
immagini che fanno inciampare il lettore mettendolo in una posizione non di comodità,
nella misura in cui si sente come in dovere di soffermarsi leggere e rileggere,
a interpretare e a capire cosa c’è “dentro” prima di proseguire.
A
tuo avviso quale dovrebbe essere la missione della letteratura?
Non so se la
letteratura abbia una missione, mi pare di volerla gravare di responsabilità
che forse non dovrebbe avere. Posso però dirti che ho sempre vissuto la poesia
come una vocazione intesa a trasformare una storia personale, di una sola
persona appunto, in una storia universale, cioè una storia nella quale tante
altre persone sono in grado di riconoscersi e messe in condizione di sentirsi
meno sole.
Sei
anche giurista a criminologo, quanto la tua cultura in questo senso influisce
nelle tue opere?
Non ci ho mai
veramente pensato. Ma credo che gli studi non abbiano influenzato
particolarmente i miei scritti. Come dicevo sopra, mi sono sempre mosso oltre,
sono stato sempre impaziente di superare i confini e di scoprire, conoscere e
capire quello che c’è al di là. Non mi sono mai accontentato dello studio in sé
e del suo volermi circoscrivere.
Cosa
ti piacerebbe che il lettore percepisca da questo ultima raccolta di poesie che
hai scritto?
Che siamo meno soli
di quanto pensiamo. E che tutti possiamo sognare, senza sentirci né migliori né
peggiori rispetto agli altri.
Hai un autore, o più
autori, di riferimento?
È buffo e forse
contraddittorio ma non amo leggere poesia (ad esclusione di Antonia Pozzi), e
tra gli autori di narrativa mi piacciono molto Mitch Albom e Gregoire
Delacourt.
Stai
scrivendo qualcos’altro adesso?
Ci sono periodi nei
quali scrivo tanto, e periodi nei quali mi prendo una “pausa” per studiare e
rinnovare me stesso. E questo è proprio un periodo di “pausa”. Pertanto sto
lavorando alla presentazione del mio libro, e nel frattempo lo presenterò
benché radiofonicamente, sabato prossimo: infatti sarò ospite del programma
“Mai conto cuore: da vicino nessuno è normale” su www.whiteradio.it dalle ore
13. Tra gli ascoltatori verrà sorteggiato un vincitore di una copia del mio
libro con dedica personalizzata.
Curata
da Stefano Duranti Poccetti
Nessun commento:
Posta un commento