03 dicembre, 2015

“VIAGGIO A TOKYO”: IL GIAPPONE DEGLI ANNI ’50 TRA TRADIZIONE E MODERNITA’ NELLA VISIONE DI OZU. Di Francesco Vignaroli


Cinema Nuovo Pendola, Siena. Lunedì 30 novembre 2015

Yasujiro Ozu (1903-1963) è stato, al pari di Akira Kurosawa e Kenji Mizoguchi, una delle figure-chiave per la rinascita del cinema giapponese nel secondo dopoguerra e per la successiva affermazione della “scuola nipponica” su scala mondiale. Stiamo parlando di uno dei più importanti registi di tutti i tempi, un vero e proprio gigante del cinema, capace di lasciare un segno indelebile nel mondo della settima arte grazie ad uno stile unico e inconfondibile, e grazie, soprattutto, a una serie di grandi film da riscoprire e ricordare. Assai opportuna, quindi, e irrinunciabile per tutti i cinefili all’ascolto, la rassegna “Ozu Yasujiro- I sei capolavori restaurati” organizzata da Tucker Film, che prevede la riproposizione al cinema di sei opere fondamentali del Maestro, tutte restaurate digitalmente e presentate in versione originale con sottotitoli; al progetto hanno aderito vari cinema d’essai in tutta Italia (per informazioni www.ozutuckerfilm.com), tra cui il suggestivo e caratteristico Nuovo Pendola di Siena. Un’occasione davvero unica per conoscere nel modo più opportuno (cioè attraverso il grande schermo) l’opera –da noi, purtroppo, poco conosciuta- del grande Ozu.

Molto lontano sia dall’umanesimo epico e letterario di Kurosawa che dal doloroso “esistenzialismo in costume” (per semplificare) di Mizoguchi, Ozu si è distinto come acuto e critico osservatore dei rapidi mutamenti sociali della società giapponese del dopoguerra, entusiasticamente e spasmodicamente protesa verso il progresso dopo secoli d’immobilismo, ma anche troppo rapidamente incline ad accantonare i propri plurisecolari valori tradizionali. Il precario equilibrio fra tradizione e modernità, la progressiva urbanizzazione, industrializzazione e occidentalizzazione del Paese, l’incomunicabilità tra le generazioni, i difficili rapporti tra campagna e città, tra genitori (il passato) e figli (il presente e il futuro), lo scorrere inesorabile del tempo e il fluire delle cose sono i temi ricorrenti che caratterizzano l’opera di Ozu. Esemplare e unico anche lo stile (sia narrativo che figurativo), le cui parole d’ordine sono: semplicità, trasparenza, pudore, rigore e contemplazione (tra i cineasti europei, forse solo Bresson è paragonabile a Ozu). I film di Ozu raccontano la vita umana così com’è, e mirano all’essenza delle cose con lucida e limpida immediatezza.
Già autore di opere importanti negli anni venti –con i suoi primi film muti- e trenta, a partire dalla fine degli anni quaranta fino alla prematura scomparsa Ozu raggiunge l’apice con una serie di capolavori che gli sono valsi, di diritto, un posto tra i più grandi di sempre del cinema. Ricordo i titoli più importanti, peraltro tutti inseriti nella retrospettiva di cui sopra: Tarda Primavera, Viaggio a Tokyo, Fiori d’equinozio, Tardo autunno e Il gusto del sakè. Gli ultimi film (da inizio anni cinquanta in poi), oltre a presentare i tipici nuclei tematici del Maestro, ne fissano anche il linguaggio tecnico (caratterizzato invece da una maggior varietà nei primi anni di carriera) e per questo sono riconoscibilissimi: camera posizionata all’altezza dei personaggi seduti, inquadrature fisse e prevalentemente dedicate agli ambienti interni (mostrati a volte vuoti, senza i personaggi), pressoché totale assenza di movimenti di macchina, campi e controcampi alternati, ritmo lento e serafico, recitazione misurata e “in punta di piedi” degli attori. Ultima cosa: in ogni film di Ozu c’è almeno un’inquadratura di un treno che passa.

Viaggio a Tokyo (1953) è a mio giudizio, insieme a Tarda primavera (1949), il miglior film di Ozu e la sintesi perfetta della sua arte. Il film racconta le disavventure di due anziani genitori (il padre è interpretato da Chishu Ryu, forse l’attore preferito e più impiegato da Ozu) che partono dal paesino di Onomichi per andare a trovare due dei loro figli a Tokyo. Dopo un’accoglienza iniziale calorosa, né il figlio Koichi, medico, né la figlia Shige, parrucchiera, sembrano aver tempo da dedicare ai genitori, che anzi giudicano un intralcio per il loro lavoro e trattano con freddezza e malcelata sopportazione, facendoli sentire quasi degli estranei. L’unica a dimostrare affetto e gentilezza nei confronti degli ospiti è la premurosa nuora Noriko (interpretata da Setsuko Hara, altra attrice molto amata da Ozu), vedova di un figlio disperso durante la guerra. Dopo essere stati “parcheggiati” in villeggiatura alle terme di Atami, i due anziani, sentendosi di troppo, decidono di togliere il disturbo. Durante il viaggio in treno, però, la mamma si ammala gravemente e, poco dopo il ritorno a casa, muore. A causa dell’improvviso lutto la famiglia si ritrova finalmente riunita, ma solo per il funerale: a cerimonia finita tutti tornano alle proprie vite, e al vecchio padre non resta che prepararsi quietamente a trascorrere il tempo che gli resta in solitudine.
In Viaggio a Tokyo sono presenti tutti i dualismi della poetica di Ozu (confronto/scontro tra generazioni, vita rurale/vita in città, tradizione/modernità…), espressi con la consueta essenzialità e con un pudore estremo che, probabilmente, è prerogativa esclusiva della cultura giapponese. L’estrema compostezza e misura di espressioni, linguaggio corporeo e gesti degli attori (tutti bravissimi, perfetti nel cogliere in pieno lo spirito del regista) sembra provenire, più che da un'altra cultura, da un altro pianeta, ed è inevitabile, per noi spettatori “occidentali”, rimanerne stupiti e affascinati.
Se, da un lato, il giudizio del regista sulla società giapponese moderna, una società che sta perdendo la propria identità e i propri punti di riferimento (su tutti l’unità familiare) appare chiaramente negativo, dall’altro lato si percepisce una stoica rassegnazione verso la logica e le dinamiche del progresso; superato il disorientamento e la delusione iniziali per il trattamento ricevuto, i due anziani genitori riescono a comprendere, fino a giustificare, l’egoismo dei figli valutando le circostanze che l’hanno prodotto: il lavoro, il desiderio di ritagliarsi un posto di rilievo in una società sempre più competitiva, una famiglia cui pensare… Tutto ciò rientra in una filosofia di vita incline alla “serena accettazione dell’ineluttabile” che probabilmente rappresenta, di nuovo, una caratteristica  tipicamente giapponese.
Se valutato con i canoni estetici odierni, e confrontato con la società del nostro presente, Viaggio a Tokyo -e tutto il cinema di Ozu con esso- può apparire pesantemente datato, ma utilizzare questo tipo di approccio sarebbe sbagliato: il film va invece considerato come un prezioso documento sociologico, un’istantanea d’epoca di un Paese lanciato a folle velocità verso la scalata (economica) del mondo, con tutto quel che poi ne è conseguito…

Ultimo appuntamento con il cinema di Ozu al Nuovo Pendola di Siena il prossimo 18 gennaio 2016, con un altro capolavoro: Tarda primavera. Da non perdere!

Francesco Vignaroli

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