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24 gennaio, 2016

Beckett e Pinter secondo Farau: un canovaccio del secolo breve. Di Chiara Cataldo


Parma, Teatro Due. Venerdì 22 gennaio 2016

PARMA (Scénario) - “Catastrofe,  il linguaggio della montagna,  il bicchiere della staffa,  il nuovo ordine mondiale” è la metafora del Novecento,  dell’inumano e il suo opposto che si incontrano e dove a trionfare è il primo. Sempre.  Il dramma,  per la regia di Massimiliano Farau,  è andato in scena ieri al Teatro Due di Parma, dove ci ha accolto un’aria da interrogatorio avvolta da un bagliore fioco tra gli sbuffi di fumo di un sigaro. Si incontra poi un fantoccio sbiancato e senza volto, privato di sé da quelli che lo manipolano.
 
Le quattro vicende trattano l’abuso di potere,  il rapporto manicheo tra infallibile e annientato:  il primo – che si autoproclama portavoce di Dio -  ama la morte degli altri pur odiandone la disperazione, è sadico, svilisce, sa di poter fare tutto quello che vuole, vieta, castiga e pulisce la terra dai “pezzi di merda che pensano” in nome della democrazia.  I perdenti invece non credono in “Dio” e nei loro adepti , annuiscono e dicono “Uccidimi”, non vogliono nulla perché non sono più.       

Vera interprete delle quattro opere è la parola: bistrattata, proibita,impossibile, pensata, morta o illogica, come quella che permetterebbe ai cani di presentarsi con il proprio nome. La parola è solo a senso unico, come quella di Orwell:  non c’è un dialogo, c’è sempre qualcuno che parla e qualcun altro che subisce.  Tutte le scene, tratte dalle opere di Pinter e Beckett, sono spezzate dal sistema binario di buio e luce,  quest’ ultima che si staglia su uno spazio minimale in bianco e nero le cui uniche pennellate di colore sono l’ocra di uno scotch – “il bicchiere della staffa”, anafora che detta il tempo alla scena - e il rosso degli sputi di sangue che colano dalle labbra tumefatte. Il What a wonderful world finale contraddice sapientemente  l’intero spettacolo: una canzone di vita dopo un elogio di morte.  

Chiara Cataldo


Con Cristina Cattellani, Paola De Crescenzo, Davide Gagliardini, Luca Nucera,
Gian Marco Pellecchia, Bruna Rossi, Emanuele Vezzoli
e con Mattia Gambetta, Tommaso Vaja

scene Fabiana di Marco
costumi Gianluca Falaschi
luci Pasquale Mari
suono Andrea Romanini
regia Massimilano farau

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