Piccolo Teatro Strehler, Milano.
Dal 27 al 31 gennaio 2016
Gaudeamus è
andato in scena per la prima volta al Piccolo nel novembre del 1992 per Milano
Aperta, al Teatro Lirico. E’ tornato nel dicembre del 1999 al Teatro dell’Arte
in occasione del Festival del Teatro d’Europa. Infine al Teatro Strehler
nell’ottobre 2000 per il Festival Milano Europa 2000.
IL battaglione di giovani attori appena
diplomati all’Accademia Teatrale di San Pietroburgo diretti dal loro
maestro/generale/istruttore Lev Dodin, ritorna a Milano, con questo testo che
il drammaturgo russo aveva scritto subito dopo l’abbattimento del muro di
Berlino, nel 1990, quando la Perestrojka stava diventando una speranza di
democrazia, di libertà, di futuro per milioni di persone vissute per decenni
sotto l’oppressione della dittatura comunista.
È un battaglione di
costruttori, di cui parla Sergeij Kaledin nel suo racconto da cui ha preso lo
spunto Dodin, gerarchicamente al livello più basso dell’esercito dell’allora
URSS. Sono tutti giovanissimi, alcuni sanno perché sono lì altri no, ma
nell’esercito non si fanno domande, né rimostranze, non esiste il diritto a
pensare ma solo ad obbedire, a servire la propria patria, a credere nel diritto
all’autodifesa che, automaticamente e senza troppe ipocrisie, implica sempre il
diritto all’offesa. Sennò a cosa servirebbero gli eserciti? Un buon soldato agisce, non si ribella, non
tradisce, non diserta. Se lo fa, verrà portato davanti alla corte marziale, e
con molta probabilità fucilato.
Anche se questi
giovani, alcuni pieni di esuberanza, altri timidi, impacciati, di razze e
religioni diverse, c’è l’ebreo e lo zingaro, potrebbero essere collocati in
qualsiasi paese del mondo, Dodin sceglie di dare loro la connotazione cui tiene
di più e alla quale si sente più vicino, non solo dal punto di vista geografico
ma anche sentimentale, ideologico, morale. Non v’è dubbio che Dodin ridicolizza
l’esercito russo, con i suoi generali che usano manuali per dare ordini, a
volte molto ridicoli, la loro ignoranza, il loro sbraitare, agitarsi, e lo fa
dando allo spettacolo una dimensione circense, o da musical, ricordando molto
spesso le parodie che Charlie Chaplin faceva della dittatura nazista. In fondo
tutte le dittature si assomigliano, tutti gli eserciti anche, li divide solo il
lato da cui sparano. Dodin, come gran parte degli intellettuali scomodi al
regime, non credo sia mai stato libero di esprimersi liberamente, totalmente, e
posso immaginare con quanta paura di essere deportato in Siberia abbia creato e
lavorato. Grazie a Dio è ancora tra noi,
dedito all’insegnamento, come provano i
suoi giovani attori che sanno, oltre che
recitare, anche danzare, cantare, fare acrobazie, forti della tradizione russa recitativa,
circense, teatrale.
Ma se invece di
indossare questo tipo di uniformi e di camminare sulla neve, avessimo visto
altre ambientazioni, altri costumi, altri esseri umani con i loro bisogni, desideri, paure, esuberanze,
sorrisi, pianti, umiliati e costretti a pulire latrine, a sottomettersi agli
ordini di fanatici generali, la storia avrebbe forse preso un significato
diverso? E quel “Gaudeamus igitur iuvenes dum sumus” (Godiamo dunque finché siamo
giovani) cantato da soldati che forse saranno mandati al fronte, che sia
quello ceceno, o iracheno, o altro, non assume forse il significato di vivere hic
et nunc, perché “del doman non v’è certezza”? E tuttavia, non suona forse
molto più malinconico e ironico di
quando è urlato da studenti universitari di paesi senza dittature?
Nello spettacolo di
Dodin i soldati vivono senza freni, quando possono, una giovinezza che passa veloce, sbronzandosi
per allontanare le tristezze, cercando nella vagina delle donne un piacere
totalmente animalesco, vitale, forse effimero, ma reale. La giovinezza di
questi ragazzi, che ogni tanto scompaiono
i tombini ricoperti di neve per andare sotto, a scavare, sarà molto probabilmente interrotta da una fucilata nemica, da un
bombardamento proveniente dal cielo o dal suolo. Ma queste erano le guerre
tradizionali, senza maschere sul volto, sfidandosi, cadendo per un ideale,
vincendo o perdendo, con una data e un inizio, ben precisi. Come sarebbero i
soldati di Dodin nei conflitti di questo nuovo millennio?
La musica ha una
grande parte nello spettacolo, dalle marce militari alla classica, dalle
canzoni della tradizione italiana ai canti popolari russi, solleva o
drammatizza, ci rallegra, ci commuove,
ci trascina. Il pianoforte scende sospeso ad una corda, e gli attori suonano
con le dita dei piedi, mentre fanno l’amore, sopra di esso. Un valzer sulla
neve, la carnalità della donna grassa che sembra una matriosca, le candele che
rischiarano la notte fredda, decine di palloncini rossi che scoppiano sotto i piedi
degli attori, e poi tingono la neve come macchie di sangue. Immagini che si
susseguono trascinandoci in un vortice
in cui a volte non troviamo alcun nesso logico, una va d'uscita ma poi piano
piano scopriamo che Dodin è
completamente spudoratamente coscientemente esagerato, artisticamente insane, il suo scopo è quello di
comunicare con il pubblico in maniera passionale, senza mezze misure, forse
sarebbe stato interessante vedere lo spettacolo in una pista di circo, ci
sorprende, ci scuote, cerchiamo di capire dove arriverà. È un gioco di gruppo,
una parodia, una discesa agli inferi da cui ci si risolleva con una sorriso,
amaro perché la vita è amara: sta a noi renderla più poetica, più dolce, più
spensierata, con l'importante e
originale contributo di Lev Dodin.
Ergo… Gaudeamus tutti
insieme!
Daria
D.
Traduzione
in inglese:
“Gaudeamus” has been staged for the first time at
Piccolo Teatro on November 1992 during Milano Aperta. And again on December
1999 at Teatro dell’Arte, Festival of European Theater. And one more time at
Streheler Theater on 2000, part of the Festival
Milano Europa.
The battalion of young actors just graduated at the
Academy of Theater in Saint Petersburg, directed by their master/general/
instructor Lev Dodin, comes back in Milan with this play that the Russian playwright wrote after the fall of Berlin’s wall,
in 1999, when the Perestrojka was going to become a hope of democracy, freedom,
future for millions of those who have lived for decades under the communist
regime.
The play based on a novel by Sergej Kaledin, tells the
story of a battalion of builders ranked at the lowest level of the Russian army.
The soldiers are all very young, and many of them are not aware why they must serve in the army,
but inside the military organization they are not allowed to put questions, nor
make complaints, there is not the liberty to think, but only obeying is
permitted, believing in the right of self defense that, automatically and
without hypocrisies, always implies the right to offense. Otherwise what would
be the purpose of an army? A good soldier performs, doesn’t resist, doesn’t
betray, doesn’t defect, or he would face the martial court, risking of being
shot.
Although these youngsters, some plenty of exuberance,
others shy, awkward, belonging to different races and religions, could be
collocated in every country of the world,
Dodin chooses instead to place them where he feels more comfortable and
closer not only geographically but sentimentally, ideologically and ethically
speaking. There is no doubt that Dodin mocks the Russian army and its generals
using manuals to give stupid and useless orders, their illiteracy, their way of
speaking and doing, making the performance a kind of circus show, a musical,
that reminds us of Charlie Chaplin parody of nazi regime. In fact all the
dictatorships are alike, all the armies are similar, changes only the side from
where they command. Dodin, like all the intellectuals inconvenient to the
communist regime, probably was not free to express freely his ideas and obliged
to work with the fear of being interned in some gulag. Thank God is still
around, dedicated to teaching acting, dancing, singing, acrobatics, to new
generations of talents, living already in a land with a rich and fundamental history
of theatrical art.
But what if instead of wearing these uniforms or
walking on the snow, there would have been another location, other costumes,
other human beings with their needs, desires, fears, smiles, tears, excesses,
humiliated and forced to clean lavatories, submitting themselves to fanatic and
rude superiors? The history might have taken a different meaning? And the Latin
goliardic anthem “Gaudeamus igitur iuvenus dum sumus” sang by soldiers that
perhaps would lose their life in battle, either fighting in Cecenia or Iraq, or
in some other war camps, doesn’t have by chance the meaning to live hic et nunc, here and now, because we
are not sure of what the destiny holds for us? And so, doesn’t this anthem
sound more melancholic and ironic sang by young soldiers than by a bunch of university
students living in a free and a pacific country?
In Dodin’s performance the soldiers try to catch as
much as they can from life, the youth passes by quickly, better to get booze in
order to forget the sadness or courting women to find in their vagina a total
animalistic pleasure, vital, ephemeral maybe but real. The youth of these boys,
sometimes disappearing inside the drains covered with snow, to go digging,
might end under the enemy fire, coming from the sky or from the ground. But we
are talking about traditional wars, unmasked, vis a vis, losing or winning with
the precise point of beginning and end. How would Dodin’s soldiers act in the
contemporary conflicts?
Music plays a big part in the show, from military
marches to classical tunes, from the Italian tradition to the Russian folk songs,
dramatizes or uplifts, welcome us, moves us, carries us. A piano descends
suspended to a rope, and the actors plays with their toes, while making love on
the lid. A waltz on the snow, the carnality of the fat woman who looks like a
Matryoshka, the candles illuminating the cold night, dozens of red balloons
that pop under the feet of the actors, and then smear like blood the white snow.
Images that follow one another dragging us in a vortex of which sometimes we
cannot find a logical connection, a way out, but slowly we understand that
Dodin is completely shamelessly consciously exaggerated, artistically insane,
his purpose is communicate with the public in a passionate way, no half
measures, (maybe it would be interesting to see the play in a circus ring)surprises
us, shakes us, and we, poor things, try to figure out where he will arrive.
We are attending a group game, a parody, a descent
into hell from which we will pop up only if we smile, bitterly unfortunately,
because life is bitter but we have the power to make it better, more poetic and
sweet, more gentle, more carefree with the important and original contribution
of Lev Dodin.
Ergo… Gaudeamus all together!
GAUDEAMUS adattamento e regia Lev Dodin
dal racconto "Battaglione di
costruzione" di Sergeij Kaledin
assistente alla regia Oleg Dmitriev
scene Alexei Porai-Koshits, collaborazione
artistica Valery Galendeev
suono Yurii Vavilov, luci Pavel Efimov, Alexander
Pospelov
costumi Maria Fomina, Ekaterina Toporova, trucco
Olga Chudakova
personaggi interpreti
Konstantin Karamitchev (Kostja) Evgenij Sannikov
Bogdanov (Bogdan) Aleksei
Morozov, Stanislav Tkachenko
Omar Kerimov, “Babai” Phillip Mogilnitsky
Nutso Vlad Leonid
Lutchenko
Itskovitch Aleksandr
Bykovskij
Sharaev, “Il vecchio” Artur Kozin
Bourmistrov Beka
Tculukidze
Milman Evgenii
Serzin
Popov-Bielotchiski Stanislav Tkachenko, Andrei Kondratiev
Lissodor, maggiore Pavel Gryaznov
Shamtchiev, luogotenente Stanislav Nikolskii
Nina Shamycheieva Mariia
Nikiforova
Ludmila Ekaterina
Kleopina
Tatiana Danna
Abyzova
ragazza del lago ghiacciato Daria Rumiantseva
l’altra ragazza Arina
von Ribben
produzione Maly Drama Teatr San Pietroburgo
con il supporto del Ministero della Cultura della
Federazione Russa
Spettacolo in russo con sovratitoli in italiano
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