Andato in scena il 21
gennaio 2016 al Teatro Toniolo di Mestre (VE)
Iván Markó fu primo
ballerino del Ballet du XXe siècle di Maurice Béjart tra il 1972 e
il 1979. Proprio nel ’79, ritornato in Ungheria, Markó fondò il Győri Balett con
alcuni allievi del Magyar Nemzeti Balett. L’audace modernismo ereditato dal
maestro fu punto di partenza imprescindibile per i nuovi lavori. Negli anni la
compagnia divenne un’istituzione nel mondo della danza, praticando diversi
generi, dal classico al contemporaneo. Per tutto gennaio il Győri Balett è in
tournée italiana con Bolero e Carmina Burana.
András Lukács creò Bolero per il Wiener Staatsbalet nel
2012. In un’immaginaria sala nera una ballerina scandisce le prime battute,
mostrando il movimento base su cui si inseriranno le altre variazioni, per poi
far entrare il resto dei colleghi, una ventina tra uomini e donne. L’unione di elementi
della ballroom e della danza moderna
genera un effetto grottesco nelle intenzioni di Lukács, che sceglie movimenti
sempre più serrati man mano che ci si avvicina al culmine.
Non c’è alcuna trama, ma un palese desiderio estetizzante. Persiste a mio avviso una vena decadente e ironica nelle figure languide e accentuate quasi a dileggiare certe pose déco. I costumi neri di Mónika Herwerth, per tutti delle lunghe gonne con una leggera tournure, risaltano le carni bianchissime dei ballerini mettendone in risalto i fisici statuari. E’ un pezzo adatto a palcoscenici ben più ampi di quello del Toniolo perché le vesti, che col movimento si gonfiano, fanno confondere le linee e perdere la bellezza delle simmetrie. Sapendo quanto sia difficile superare lo storico Bolero di Béjart, ch’ebbi la fortuna di vedere al Teatro La Fenice nel 2005, il lavoro di Lukács rimane una piacevole invenzione.
Non c’è alcuna trama, ma un palese desiderio estetizzante. Persiste a mio avviso una vena decadente e ironica nelle figure languide e accentuate quasi a dileggiare certe pose déco. I costumi neri di Mónika Herwerth, per tutti delle lunghe gonne con una leggera tournure, risaltano le carni bianchissime dei ballerini mettendone in risalto i fisici statuari. E’ un pezzo adatto a palcoscenici ben più ampi di quello del Toniolo perché le vesti, che col movimento si gonfiano, fanno confondere le linee e perdere la bellezza delle simmetrie. Sapendo quanto sia difficile superare lo storico Bolero di Béjart, ch’ebbi la fortuna di vedere al Teatro La Fenice nel 2005, il lavoro di Lukács rimane una piacevole invenzione.
Scenografia semplice,
direi superflua, quella approntata da Youri Vamos per Carmina Burana. Uno schermo con proiettato un albero, che si apre e
si chiude solo sulle note di O Fortuna,
rimanda a una generica campagna ove si avvicendano i desideri d’amore e
felicità di uomini e donne. Traspare nella coreografia di Vamos il dialogo
amoroso tra i sessi, ora erotico, ora amicale, intriso d’una certa misticità
che pare rievocare, musica vult, la
scultura romanica – in Veris leta facies
coppie di ballerine si coprono il ventre in posa pudica per essere
repentinamente scoperte da altre. Molto curate le linee di Tempus est iocundum, mentre si può discutere sulla scelta di
bloccare la compagnia su O Fortuna,
espediente che rompe la tensione drammaturgica. I costumi, anch’essi di Vamos, in
tinte pastello verde e giallo sono prettamente riservati alle ballerine, perché
i boys li indossano solo fino a Were Diu Werlt Alle Min per poi rimanere
coperti, quasi in un Sacre, da
minimali boxer color carne simulanti un’ideale nudità.
Lunghi applausi per
tutta la compagnia decretano un ottimo successo.
Luca
Benvenuti
Bolero
Musiche: Maurice Ravel
Coreografia: András Lukács
Assistente: Renáta Fuchs
Costumi: Mónika Herwerth
Disegno luci e scene: András
Lukács, Attila Szabó
Carmina Burana
Musiche: Carl Orff
Coreografia, costumi, set:
Youri Vamos
Assistenti: Joyce Cuoco,
Zsuzsanna Kara, Alexej Afanassiev
Luci: Klaus Gärditz, Péter
Hécz
Nessun commento:
Posta un commento