Cortona, Teatro
Signorelli. Giovedì 21 gennaio 2016
“LA NUOVA INDUSTRIALIZAZIONE
PRETENDE CHE NON SIANO CONCEPIBILI ALTRE IDEOLOGIE CHE QUELLA DEL CONSUMO. UN
EDONISMO NEOLAICO, CIECAMENTE DIMENTICO DI OGNI VALORE UMANISTICO E CIECAMENTE
ESTRANEO ALLE SCIENZE UMANE” (Pier Paolo Pasolini, dall’articolo Acculturazione e acculturazione contenuto
in Scritti Corsari)
“CANTAMI
DI QUESTO TEMPO L’ASTIO E IL MALCONTENTO DI CHI E’ SOTTOVENTO…” (Fabrizio De
André, da Ottocento)
“LA MAGGIORANZA STA
COME UNA MALATTIA, COME UNA SFORTUNA, COME UN’ANESTESIA, COME UN’ABITUDINE PER
CHI VIAGGIA IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA” (Fabrizio De André, da Smisurata preghiera)
Neri Marcoré racconta di aver scoperto gli Scritti corsari (raccolta di articoli
polemici pubblicati dall’autore sul Corriere della Sera tra il 1973 e il 1975) di Pier Paolo Pasolini nel 1995, quasi
per caso, nell’attesa dell’inizio di un concerto di Fabrizio De André. Da
questa circostanza, forse, è nato lo spunto per l’ideazione dello spettacolo Quello che non ho in cui Marcoré,
accompagnato da tre ottimi giovani musicisti, alterna l’esecuzione delle
canzoni di De André a brevi riflessioni sull’attualità ispirate a Pasolini e ai
suoi articoli “corsari”. A parte lo spunto autobiografico di partenza, cosa
unisce “PPP”, uno dei massimi intellettuali italiani del ‘900, al grande “Faber”?
Mi vengono in mente almeno un paio di elementi, più che sufficienti a
giustificare l’accostamento: la libertà e il coraggio intellettuale di essere “contro”
(contro il Potere, le ingiustizie, il pensiero dominante, l’omologazione…).
Una scelta difficile, dolorosa e faticosa che ha causato a entrambi –soprattutto a Pasolini- non poche difficoltà esistenziali: è l’inevitabile prezzo da pagare in nome della propria coerenza e della propria indipendenza morale, prerogative irrinunciabili -quasi un’esigenza, un diritto/dovere- per una mente libera e orgogliosamente ferma nella propria volontà di autodeterminazione. Una volontà espressa tanto chiaramente negli scritti (e nei film) di Pasolini quanto nelle canzoni di De André.
Una scelta difficile, dolorosa e faticosa che ha causato a entrambi –soprattutto a Pasolini- non poche difficoltà esistenziali: è l’inevitabile prezzo da pagare in nome della propria coerenza e della propria indipendenza morale, prerogative irrinunciabili -quasi un’esigenza, un diritto/dovere- per una mente libera e orgogliosamente ferma nella propria volontà di autodeterminazione. Una volontà espressa tanto chiaramente negli scritti (e nei film) di Pasolini quanto nelle canzoni di De André.
Veniamo allo spettacolo.
Ottima la parte musicale: Marcoré, da vero e
poliedrico uomo di spettacolo, tiene bene il palcoscenico non solo come attore
ma anche come cantante, affrontando il repertorio di De André con voce sicura e
appassionata (anche se un confronto con l’originale è, ovviamente,
improponibile), supportato alla perfezione dai tre giovani compagni
d’avventura. Arrangiamenti prevalentemente acustici e cori impeccabili
rivestono le esecuzioni di una notevole forza emotiva, che raggiunge l’apice
del pathos durante l’esecuzione di Dolcenera. In scaletta dieci canzoni, tutte
appartenenti al De André maturo: Se ti
tagliassero a pezzetti, Una storia
sbagliata (dedicata a Pasolini), Ottocento,
Don Raffaè, Quello che non ho, Khorakhané,
Smisurata preghiera, la già citata Dolcenera, Volta la carta e, in conclusione, Canzone per l’estate. Tra un brano e l’altro, utilizzato come leitmotiv, si ascolta invece il recitato
de Le nuvole.
Meno convincenti i monologhi sull’attualità:
Marcoré mette un po’ troppa carne al fuoco, e saltando di palo in frasca
effettua, non senza ironia e accenni satirici, un piccolo elenco dei mali del
mondo (disastri ambientali, scandali bancari, consumismo, razzismo, nuova schiavitù,
prostituzione minorile…) derivati dal capitalismo (“I BENI SUPERFLUI RENDONO
SUPERFLUA LA VITA ”),
per dimostrare l’esattezza e la puntualità delle profetiche analisi di Pasolini
negli anni ’70, rievocate tramite la lettura di brevi passi degli Scritti corsari. Per forza di cose,
però, considerando l’ambito teatrale in cui viene trattata (lo spettacolo dura
poco più di un’ora: impossibile rendere conto in così poco tempo di tematiche
tanto complesse come, ad esempio, i concetti di sviluppo e progresso!),
la speculazione pasoliniana esce notevolmente semplificata –forse il termine
più appropriato sarebbe “ridotta”- e alcuni collegamenti tra gli Scritti corsari e il nostro presente
appaiono un po’ forzati. Nobile intento, comunque, per un progetto ambizioso e
interessante.
Francesco
Vignaroli
liberamente
ispirato all’opera di
Pier
Paolo Pasolini
canzoni
di Fabrizio De Andrè
con
Neri Marcorè
Quello-che-non-ho-interna
voci
e chitarre Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini
arrangiamenti
musicali Paolo Silvestri
drammaturgia
e regia Giorgio Gallione
collaborazione
alla drammaturgia Giulio Costa
produzione
Teatro dell’Archivolto
Sono pienamente d'accordo su quello che ha scritto il giornalista circa lo spettacolo,tuttavia è meglio mettere molta carne al fuoco che niente.Il mio augurio è che lo spettacolo di Marcorè sia stato utile ad aprire la mente e gli occhi dello spettatore sugli argomenti trattati.
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