Auditorium
Arezzo Fiere e Congressi. Martedì 12 gennaio 2016
Funambolico, virtuoso, pirotecnico, ironico
e, soprattutto, assolutamente imprevedibile: Stefano Bollani. Non ci credete? E
allora, ditemi chi altro riuscirebbe a mescolare insieme Per Elisa, Sandokan, Ufo robot, Summertime, Paolo Conte, Battiato, Scott Joplin e chi più ne ha più
ne metta, ottenendone un cocktail (analcolico,
mi raccomando!) così gustoso che non si vorrebbe mai smettere di bere?!
Ma partiamo dall’inizio. Il pianista
si è presentato al pubblico aretino -come si suol dire- “in splendida
solitudine”, accompagnato solo da un pianoforte classico e da uno elettrico.
Fedele al proprio proverbiale eclettismo, Bollani ha proposto una scaletta che
ha dimostrato, nel caso in cui ce ne fosse ancora bisogno, tutta la sua
sconfinata passione e conoscenza della musica, di ogni tipo di musica, senza limiti né pregiudizi. In apertura, tre
doverosi omaggi ad altrettanti grandi artisti scomparsi: Life on Mars? di David Bowie, Putesse
essere Allero (splendida) di Pino Daniele e Sopra i vetri di Enzo Jannacci, nella quale il nostro si è esibito
anche al canto (ma ormai, per chi segue Bollani, non è certo una novità).
Proseguendo, l’artista ha alternato composizioni proprie (tratte principalmente dall’ultimo album Arrivano gli alieni, 2015) a esecuzioni di brani altrui, operando in alcuni casi accostamenti tanto inimmaginabili quanto plausibili. Così, ecco che La danza ritual del fuego di De Falla si è trasformata, all’improvviso, in Microchip, spiritosa canzone in napoletano scritta dallo stesso Bollani per lamentare “L’INVADENZA DELLE NANOTECNOLOGIE” (Bollani dixit); miglior sorte non è toccata -lo dico con ironia “bollaniana”- alla classica Someday my prince will come, ritrovatasi nei panni rock di Sunshine of your love dei Cream. Spazio anche per una breve parentesi sudamericana, con Gato, brano argentino di Julian Aguirre risalente agli anni ’20, e con Fejolada completa di Chico Buarque. Il concerto è stato poi impreziosito da un brano inedito e ancora senza titolo, che l’artista ha provvisoriamente voluto chiamare Arezzo…salvo poi, a fugare immediatamente ogni sospetto di piaggeria, chiarire: “NON FATEVI ILLUSIONI: IERI SI CHIAMAVA NAPOLI…”. Ho riportato questo piccolo aneddoto perché esprime efficacemente l’approccio giocoso, ironico, sdrammatizzante e confidenziale col quale Bollani vive la sua professione di musicista, riuscendo, quando è sul palco, a entrare perfettamente in sintonia col pubblico e a instaurare con esso un rapporto di complicità (come un vecchio amico che ti fa l’occhiolino dopo una battuta), cosa puntualmente verificatasi anche in questa serata aretina da “tutto esaurito”. Quanto accaduto durante il bis –vedi l’accenno nell’introduzione- è un ulteriore riprova di ciò: munito di carta e penna per prendere nota, Bollani ha invitato il pubblico a proporre i brani da eseguire. Per far fronte al diluvio di suggerimenti, alcuni a dir poco improbabili (all’invocazione“I PIRATI DEI CARAIBI!” Bollani ha dovuto allargare le braccia e rispondere: “I PIRATI DEI CARAIBI NONLA
CONOSCO , MI DISPIACE…”), piovutigli addosso da ogni dove,
l’artista ha deciso di cucire insieme tutti i brani richiesti, improvvisando
un’improbabile suite/medley degna di
un juke-box impazzito. E così, per
una decina di minuti circa, senza perdere nemmeno per un momento il filo del
discorso, Bollani ha frullato insieme Per
Elisa, Ufo robot, Goldrake, Sandokan (!), El choclo, Bandiera bianca di Battiato, The entertainer di Scott Joplin, Pianofortissimo di Carosone, Summertime, l’ormai celebre imitazione
di Paolo Conte (un medley nel medley, con un mix delle sue canzoni più celebri) e altro ancora. Il
tutto, come se non bastasse, eseguito con uno stile “alla” Michael Nyman di The piano…
Proseguendo, l’artista ha alternato composizioni proprie (tratte principalmente dall’ultimo album Arrivano gli alieni, 2015) a esecuzioni di brani altrui, operando in alcuni casi accostamenti tanto inimmaginabili quanto plausibili. Così, ecco che La danza ritual del fuego di De Falla si è trasformata, all’improvviso, in Microchip, spiritosa canzone in napoletano scritta dallo stesso Bollani per lamentare “L’INVADENZA DELLE NANOTECNOLOGIE” (Bollani dixit); miglior sorte non è toccata -lo dico con ironia “bollaniana”- alla classica Someday my prince will come, ritrovatasi nei panni rock di Sunshine of your love dei Cream. Spazio anche per una breve parentesi sudamericana, con Gato, brano argentino di Julian Aguirre risalente agli anni ’20, e con Fejolada completa di Chico Buarque. Il concerto è stato poi impreziosito da un brano inedito e ancora senza titolo, che l’artista ha provvisoriamente voluto chiamare Arezzo…salvo poi, a fugare immediatamente ogni sospetto di piaggeria, chiarire: “NON FATEVI ILLUSIONI: IERI SI CHIAMAVA NAPOLI…”. Ho riportato questo piccolo aneddoto perché esprime efficacemente l’approccio giocoso, ironico, sdrammatizzante e confidenziale col quale Bollani vive la sua professione di musicista, riuscendo, quando è sul palco, a entrare perfettamente in sintonia col pubblico e a instaurare con esso un rapporto di complicità (come un vecchio amico che ti fa l’occhiolino dopo una battuta), cosa puntualmente verificatasi anche in questa serata aretina da “tutto esaurito”. Quanto accaduto durante il bis –vedi l’accenno nell’introduzione- è un ulteriore riprova di ciò: munito di carta e penna per prendere nota, Bollani ha invitato il pubblico a proporre i brani da eseguire. Per far fronte al diluvio di suggerimenti, alcuni a dir poco improbabili (all’invocazione“I PIRATI DEI CARAIBI!” Bollani ha dovuto allargare le braccia e rispondere: “I PIRATI DEI CARAIBI NON
Con ciò, e mi rivolgo a chi non lo
conoscesse ancora, non vorrei che ci si facesse di Bollani un’idea sbagliata e
lo si considerasse come un virtuoso
esibizionista che cerca l’applauso facile con trovate ad effetto: al di là dei
giochi di prestigio e delle goliardate, stiamo parlando di un artista di fama
mondiale, uno dei più importanti e amati pianisti jazz (e non solo) dei nostri
tempi, uno che anche quando scherza fa sul serio, eccome! Il concerto aretino,
nella sua ora e mezzo circa di durata, ha regalato momenti di grande musica,
come testimoniato dall’incontenibile entusiasmo del pubblico. Al termine della
folle cavalcata finale Bollani ha pensato bene di uscire ma, richiamato ancora
una volta a furor di popolo, ha dovuto concedere un “bis del bis”, stavolta in
modo convenzionale, proponendo la sua recente Arrivano gli alieni, gradevole canzone pop che racchiude in sé tutta l’ironia dell’ autore, e chiudendo in
bellezza con lo standard Tea for two.
Oltre al plauso di pubblico e critica (almeno per quanto riguarda il
sottoscritto), l’artista si è portato a casa pure un premio intitolato al
grande pianista Arturo Benedetti Michelangeli, ricordato con un breve filmato
prima dell’inizio del concerto.
Importantissimo avviso ai naviganti:
visto il clamoroso successo della serata e visto il gran numero di persone che
non hanno potuto assistere al concerto perché non c’erano più biglietti
disponibili, l’Associazione Amici della Musica Arezzo, organizzatrice
dell’evento, ha deciso di concedere il bis
invitando Stefano Bollani per una graditissima replica domenica 24 gennaio.
Ma, come avrebbe detto l’indimenticato Corrado, non finisce qui: la grande
musica tornerà di nuovo protagonista all’Auditorium Arezzo Fiere e Congressi il
prossimo 27 gennaio, con il concerto del duo Paolo Fresu/Daniele di
Bonaventura, organizzato ancora dall’Associazione Amici della Musica nell’ambito
della prestigiosa stagione concertistica 2015/2016 che ha già visto la
partecipazione, tra gli altri, di Salvatore Accardo e Nicola Piovani.
Francesco
Vignaroli
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