Teatro Menotti, Milano. dal 2 al 6 febbraio 2016
Un testo “sgradevole”
questo “Chi ha paura di Virginia Woolf?” scritto nel 1962, sgradevole per
quello che racconta e come lo racconta, per i personaggi che lo interpretano e
per una serie di altri motivi, tra cui il titolo che prende lo spunto, come
ricorda il suo drammaturgo Edward Albee, da una scritta tracciata da un anonimo
su uno specchio di un caffè sulla Decima Strada a N.Y.
Un testo davanti al
quale un regista non può stare nel mezzo, o lo prende di petto, rischiando di
diventare anche lui “sgradevole” o non lo affronta proprio. Quattro
personaggi, Martha e George, sposati da
lungo tempo e Honey e Nick le giovani prede cadute nelle mani della coppia più
anziana e più scaltra, una notte, dopo un party tra professori universitari, si
ritrovano per bere il bicchiere della staffa.
Sarà invece un susseguirsi ininterrotto di bicchieri svuotati e riempiti senza nessun freno e si sa, in vino veritas, partecipando inconsapevolmente ad un gioco che si fa sempre più duro, crudele, alcolico e difficile da fermare.
Sarà invece un susseguirsi ininterrotto di bicchieri svuotati e riempiti senza nessun freno e si sa, in vino veritas, partecipando inconsapevolmente ad un gioco che si fa sempre più duro, crudele, alcolico e difficile da fermare.
George, che a detta
di Martha è un uomo senza ambizione o forse ce l’ha avuta un tempo, visto che
ha sposato (o si è fatto sposare?) la figlia del Preside della Facoltà di
Storia, è un uomo quieto, magro, brizzolato, un professore inerte e inerme, è
però arguto e ironico e vuole “dirigere lui lo spettacolo”, una volta tanto. E
infatti altro non è che uno spettacolo nello spettacolo, quello offerto da
George e Martha ai due giovani, fatto di battute crudeli ed epiteti volgari,
isterismi e corse al gabinetto per vomitare, minacce e strilli, tra un “versami
da bere” e l’altro, con Martha che rivendica di essere “rumorosa e volgare” di
“portare i pantaloni in casa” ma di “non essere un mostro”, sputando in faccia
al marito: “ero alla festa di papà… e mentre ti guardavo, mi sono accorta che non c’eri” oppure ““giuro che se
esistessi chiederei il divorzio”.
Storie di coppie
borghesi che nascondono dietro facciate perbene le loro disgrazie sentimentali,
i loro sogni non realizzati, le loro mancanze, annegandole in fiumi di alcool.
Martha che fa la gatta morta con Nick, carne giovane e soda, mentre George non
solo sopporta, ma quasi incoraggia, anche se con disgusto, Honey che confida a
George le sue gravidanze isteriche, ognuno vomita le proprie debolezze e
cattiverie. I due uomini si sono
sposati per i soldi o per fare carriera
e ora ne pagano le conseguenze ma tirare avanti facendo finta di nulla è il loro leitmotiv
a meno che un bel bicchiere di whisky o bourbon non dia loro il coraggio di
“dire la verità”.
Nick: “Bevono tutti
come spugne nell’Est. Anche nel Middle West bevono tutti come spugne”
George: “Sì, beviamo
moltissimo in questo paese, e ho l’impressione che berremo ancora di più in
avvenire… se riusciremo a sopravvivere. Dovremmo essere italiani o arabi…”
Attori bravi e
consapevoli delle loro parti, partecipano a questo gioco al massacro
riempiendosi di alcool per ore, che però non risulta abbastanza nella loro
recitazione, un po' troppo sobria, priva di quel realistico abbrutimento
conseguenza del rilascio dei freni inibitori.
Nel testo di Albee, poi, dalla carabina giocattolo di George, puntato
alla tempia di Martha, esce “un parasole cinese rosso e giallo” ma il regista
Cirillo lo ha tralasciato lasciandoci nel dubbio che il mite professore
possegga un vero fucile, cosa altamente improbabile per un tipo come lui. Un
particolare forse voluto ma allora poteva farlo sparare in aria o contro uno
dei bicchieri che come in un tiro a segno, se ne stanno allineati sul mobile
bar. Bum!
Interessante l'idea
registica dello scardinamento e sconnessione della scenografia, ma Cirillo
doveva osare di più, lui che ha osato essere un “femminiello” in quel bello
spettacolo “Scende giù per Toledo” di cui scrissi l'anno passato.
Non so se questo play
rappresenti la storia dell’Occidente e della sua imminente caduta, e che
qualche altra civiltà sarebbe ben felice che succedesse, quello che sicuramente
è, è una storia universale di esseri umani,
collocabile in ogni epoca e in ogni luogo, a patto che ci sia molto da
bere, poco da fare e molto da rimpiangere. E non mi meraviglierei e sarei
felice che fosse andata proprio così,
che anche Albee, mentre la scriveva in quel bar della Decima strada, fosse stato under the influence…
Daria
D.
CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF?
Con MILVIA
MARIGLIANO e ARTURO CIRILLO
di
Edward Albee
traduzione
Ettore Capriolo
e con
Valentina
Picello
Edoardo
Ribatto
scene
Dario Gessati
costumi Gianluca
Falaschi
luci Mario
Loprevite
regia Arturo
Cirillo
produzione
Tieffe Teatro Milano
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