Teatro Elfo Puccini, Sala
Shakespeare, Milano. Dal 2 al 7 febbraio 2016
Difficile “essere”
Bukowski, anche per lo stesso Bukowski deve essere stata una gran fatica convivere con se stesso ma se ci si mette
dello stile, parafrasando lo scrittore americano, forse ci si riesce.
“Lo stile è la
risposta a tutto.
Un nuovo modo per
affrontare qualcosa di noioso o di pericoloso.
Fare una cosa noiosa
con stile è preferibile al farne una pericolosa senza.
Fare una cosa
pericolosa con stile, io lo chiamo arte.
Le corride possono
essere un’arte.
La boxe può essere
un’arte.
Amare può essere
un’arte.
Aprire una scatola di
sardine può essere un’arte.
Non sono in molti ad
avere stile.
E magari alla fine
“non è poi così male essere Bukowski”. La
sua vita è stata fuori dall’ordinario, un insieme di ingredienti
irripetibili e unici, difficili da comprendere, da afferrare, di quelli che
fanno di un uomo non un uomo qualsiasi ma un out cast, uno che è uscito dagli
schemi e che ha pagato di tasca propria questo suo coraggio. Ci piace, proprio
per questa ragione, per quello che ci ha lasciato, per quello che ci ha
raccontato, e soprattutto ci affascina
la sua libertà di “fottersene” del mondo intero.
Haber con il suo
“Haberowski” ci ha provato a entrare nell’anima straziata e menefreghista,
solitaria e scostante, libera e americana dello scrittore, per “essere
Bukowski” sulla scena. L’attore lo ha sentito
congeniale e ha voluto che anche noi spettatori ricevessimo le stesse emozioni
che lo hanno portato ad avvicinarsi ad “Hank”.
Attraverso le parole recitate (a volte un po’ troppo recitate), con il
supporto di una colonna musicale suonata dalla tromba jazz live di Andrea
Guzzoletti, della musica elettronica del duo Alfa Romero e delle immagini video
create da Manuel Bozzi (che però nulla
hanno aggiunto alle immagini già così evocative
e forti di Bukowski) abbiamo fatto un viaggio poetico nell’inferno della
mente dello scrittore nato il 16 agosto del 1920 in Germania e morto nel 1994 a
S.Pedro, California
Alessandro Haber
entra in scena con un sacchetto di plastica piena di lattine vuote, una
bottiglia di birra su un tavolino, una macchina da scrivere che pende da una
corda, sembra sia stata impiccata, un paio di mutandine e un reggiseno
dondolano dal leggio, sigarette fumate e che offre anche agli spettatori.
Oggetti che la regia ha fatto usare ad Haber, durante lo spettacolo ma forse
non abbastanza: l’occasione di portare in scena questo poeta ubriacone,
puttaniere, senza un soldo, senza fissa dimora, fumatore, e scontroso era
eccezionale per osare ancora di più. Al diavolo i benpensanti!
Tra immagini brutali,
squallide, sbeffeggianti, ma intrise
di poetica americana, quella del viaggio
on the road, dei locali fumosi “prima dell’ aids”, delle camere d’albergo con
le vasche orlate di grasso, delle tapparelle rotte, delle donne dai culi invitanti
con i tacchi a spillo e le calze
smagliate, alcoliste, pazze, dei topi nei vicoli, delle risse, delle automobili
grandi e senza cappotta, lui cercava di fare lo scrittore. Ma poi smetteva e si
dava all’arte del bere, e allora diventava uno scrittore sbronzo, e si
incolpava di “non saper fare niente”, aspettando “la morte come un gatto che
sta per saltare sul letto”.
Il suo “realismo
sporco” viene portato sulla scena un po' più pulito e abbellito, ma ugualmente
apprezziamo Haber per averci fatto sentire,
tra l'assordante rumore delle ipocrisie che ci circondano, una voce
forte, senza mezzi termini, diversa, che ancora oggi ha la forza di scuoterci e
di emozionarci.
“una poesia è una
città piena di strade e tombini
pina di santi, eroi,
mendicanti, pazzi,
piena di banalità e
di roba da bere,
piena di pioggia e di
tuono e di periodi
di siccità, una
poesia è una città in guerra,
una poesia è una
città che chiede a una pendola perché,
una poesia è una
città che brucia,
una poesia è una
città sotto le cannonate
le sue sale da
barbiere piene di cinici ubriaconi,
una poesia è una
città dove Dio cavalca nudo...”
Daria
D.
HABEROWSKI
Alessandro Haber è Charles
Bukowski
da un’idea di Manuel Bozzi
musica Alfa Romero: Marzio
Aricò e Lorenzo Bartoletti
produzione Associazione
Culturale AUROOM
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