Teatro Malibran, Venezia.
Dal 7 al 13 febbraio 2016
La prima italiana de Les Chevaliers de la Table ronde durante
il Carnevale lagunare è stato l’evento più atteso dagli addetti al settore, gongolanti
come bimbi sulle poltroncine rosate del Malibran. Ciò si deve all’encomiabile
ed incessante ricerca musicologica del Palazzetto Bru Zane, vivace realtà che
da anni riscopre autori francesi sconosciuti ai più. In questo caso si tratta del
cosiddetto ‘padre dell’operetta’, Louis-Auguste-Florimond Roger alias Hervé, che si contese letteralmente
le scene col ‘figlio dell’operetta’, Offenbach. Hervé, cantante, compositore,
librettista e impresario, abbandonò la carriera d’organista a Saint-Eustache per
dedicarsi all’apparentemente più remunerativa carriera musicale teatrale. Le
note biografiche le lascio al tempo dei lettori, ma curioso sarà sapere che a
Venezia di Hervé già si era vista Mam'zelle
Nitouche, nota come Santarellina,
che dopo Roma e Parma approdò proprio al Teatro La Fenice nel 1922, con la
Compagnia Petroni-Fineschi-Olivieri, e nel 1927, con Ines Lidelba Fronticelli
ed Alfredo Orsini.
Riguardo al titolo in
questione, mi preme far notare che ne esistono due versioni, una del 1866,
accolta tiepidamente, e una del 1872, occasione ben più fortunata. Il
Palazzetto Bru Zane propone la trascrizione per dodici strumentisti di Thibault Perrine, pensando che tale
operazione basti a sottolineare le peculiarità musicali di Hervé. Essa attinge
da entrambi le versioni, da cui Pierre-André Weitz e Victoria Duhamel tagliano
e spostano pezzi per esigenze drammaturgiche e di compagnia. A parer mio,
modesto ovviamente perché c’è sempre chi possiede la Verità pronto a
contraddirmi, si è sentita musica interessante, diversa dal solito, ma poco
orecchiabile, piena di elementi formali autocompiacenti, quali virtuosismi
vocali (scritti apposta per i cantanti dell’epoca, assai dotati in estensione)
e strumentali, sillabati, recitativi con sorpresa, onomatopee e giochi
semantici. Nonostante mi chieda allora quale sarebbe potuta essere la portata
di tale materiale con un’orchestra completa, nell’interezza della prima o
seconda versione, ritengo gli Chevaliers
non paragonabili ai capolavori di Offenbach, palese esempio di allievo che
supera il maestro, se si vuol ragionare in termini di paternità e figliolanza. Comunque
sia, Christophe Grapperon, alla
guida della compagnia Les Brigands, si dimostra direttore attento e luciferino, sempre vigile sul
rapporto tra scena e buca. Tale concentrazione permette di creare le giuste
atmosfere per far risaltare le doti dei cantanti e sancire momenti di musica
gradevoli e leggeri.
Ciò premesso, lo
spettacolo di Pierre-André Weitz
funziona perché tutto è studiato nei minimi dettagli, permettendo alla
consequenzialità delle azioni di non cadere in momenti di controsenso drammaturgico.
Ogni scelta è accuratamente pensata all’interno di un linguaggio comico che
celebra una scanzonata sessualità e mescola elementi della tradizione francese
– ci scorgo il circo, Marcel Marceau, Tati, Pierrot,
qualche vago accento genettiano – con più contemporanee influenze sadomaso e una
mai volgare carica erotica. Tutto giocato sul bianco e il nero, l’allestimento sfrutta
una struttura a righe verticali semplicissima che diventa al contempo piazza,
dimora di Rodomonte e castello di Melusina tramite veloci cambi scena. Le luci
di Bertrand Killy svelano intrighi,
nascondono sodomie e penetrazioni (simulate, stiano tranquilli i moralisti),
incorniciano intermezzi ironici, gettando sul tutto una luce giallastra da
antico teatro di provincia, luogo assai ben conosciuto dal compositore.
Va apprezzato inoltre
il lavoro che gli artisti hanno fatto sul corpo, grazie a Iris Florentiny e Yacnoy
Abreu Alfonso, perché dimostrano una scioltezza notevole nei movimenti
scenici, frutto di un palpabile e disinvolto spirito di squadra. Tra tutti, si
distinguono Chantal Santon-Jeffery,
Melusina punk dall’ottima estensione
vocale, l’Angelica finta ingenua di Laura
Neumann, Ingrid Perruche, molieriana
Totoche, lo stranito Medoro di Mathias
Vidal e l’Orlando sexy di Rémy
Mathieu. Qualche dubbio rimane sul Rodomonte di Damien Bigourdan, eccessivamente caricato al limite dell’isterismo.
Unisco in un unico plauso i rimanenti membri del cast.
Applausi entusiasti
durante e al termine da parte del nutrito pubblico.
Luca
Benvenuti
Les Chevaliers de la Table
ronde
Andato in scena dal 7 al 13
febbraio 2016 al Teatro Malibran di Venezia
Opéra-bouffe in tre atti
Libretto di Henri Chivot e
Alfred Duru
Musica di
Louis-Auguste-Florimond Roger, detto Hervé
Trascrizione di Thibault
Perrine per tredici cantanti e dodici strumentisti
Personaggi e interpreti:
Il duca Rodomonte: Damien
Bigourdan
Sacripante: Antoine
Philippot
Merlino: Arnaud Marzorati
Medoro: Mathias Vidal
La duchessa Totoche: Ingrid
Perruche
Angelica: Lara Neumann
Melusina: Chantal
Santon-Jeffery
Fleur-de-Neige: Clémentine
Bourgoin
Orlando: Rémy Mathieu
Amadigi di Gaula: David
Ghilardi
Lancillotto del Lago: Théophile
Alezandre
Rinaldo di Montalbano:
Jérémie Delvert
Ogier: Pierre Lebon
Direzione: Christophe
Grapperon
Regia: Pierre-André Weitz
Assistente alla regia:
Victoria Duhamel
Lavoro sul corpo: Iris
Florentiny e Yacnoy Abreu Alfonso
Scene e costumi:
Pierre-André Weitz
Assistenti: Pierre Lebon e
Mathieu Crescence
Luci: Bertrand Killy
Direttore di scena: Ingrid
Chevalier
Strumentisti
della compagnie Les Brigands
Maestri del coro: Nicolas
Ducloux e Christophe Manien
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