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09 febbraio, 2016

La Traviata. Un climax discendente, dalla bellezza alla sua decadenza. Di Luca Benvenuti


Teatro La Fenice, Venezia. Fino all’11 febbraio 2016  

Ogni volta che rivedo La Traviata di Robert Carsen, proposta ormai a ogni stagione dal Teatro La Fenice, ne scopro dettagli prima ignorati e mi concentro sugli interpreti del momento. L’orizzontalità pervade le monumentali scene di Patrick Kinmonth, impostate su diverse tonalità di verde, ed è evidenziata anche dalla scelta di disporre le masse corali sempre a ridosso della ribalta. Ho notato maggior erotismo nel balletto che accompagna il coro di gitane e matadores, attualizzati in cowgirls perizomate e cowboys in chaps, coerente con la riflessione sul corpo e merce portata avanti da Carsen. L’incontro tra Violetta e Germont avviene in una foresta ove le banconote volteggiano nell’aria come effimere farfalle sino a scendere copiose mentre il lancinante Amami, Alfredo strazia il cuore delle anime sensibili.
Infatti, rammenta Carsen, è il denaro a cementare l’azione, sia esso ricavato per mantenere Alfredo, compenso per prestazioni sessuali, onorario medico dell’ultima visita alla poveretta, spirante nella stanza 1206 oramai disadorna. Solo una televisione rotta, simbolo d’una bellezza ormai spenta, apre la sempre attuale riflessione sulla riproducibilità dell’immagine, quanto le fotografie prodotte dall’Alfredo reporter. Il light design, curato dallo stesso regista e da Peter Van Praet, ammanta le atmosfere di luci via via più cupe e confondenti, in un progressivo mancar di forze.

Daniele Rustioni dirige l’orchestra veneziana, omogenea e compatta, restituendo una lettura originale e fuori dagli schemi. Rustioni, infatti, ripulisce Verdi di quell’effetto rustico che sovente si sente con altre direzioni: il ritmo ternario è alleggerito a favore di una ritrovata drammaticità sinfonica, fatta di respiri ampi, ma ben controllati; lancia i timpani a briglia sciolta in Amami, Alfredo e nel finale terzo, descrivendo ottimamente l’estremo sisma emotivo di Violetta e le tragiche conseguenze; esalta l’oboe, ricordandoci quanto nel Barocco fosse strumento obbligato di molte arie, nel finale secondo e nell’Addio del passato, ove gli archi addirittura echeggiano impercettibili. Sceglie inoltre tempi pertinenti, imprime un’ottima incisività nelle scene d’assieme e mantiene elevata la qualità musicale, persino durante le feste cortigiane, la banda fuori scena è per la prima volta nitida e ben udibile.

Francesca Dotto, giovane soprano trevigiano, dimostra di aver studiato e approfondito ancor di più il ruolo rispetto all’ultima volta in cui la sentii. La sua Violetta, grazie all’ottimo fraseggio, l’uso consapevole delle dinamiche e il magistrale controllo dell’acuto, è una delle interpretazioni migliori di oggi. Bellissimi i piani di Dite alla giovine, l’Addio del passato e lo sdegno dei vari momenti di rabbia contro il destino crudele. Man mano che la tragicità degli eventi prende piede, la voce disvela l’autentica predisposizione al melodramma, facendosi importante, pastosa e ricca di colori sempre diversi, adatti a ritrarre una donna veramente tormentata dal male fisico e sociale. Col tempo e ulteriore dedizione, Dotto potrà arricchire il personaggio con tutta quella serie di agilità ed espedienti che renderanno ancor più preziosa la sua interpretazione.

Mattia Lippi possiede voce interessante, intonata e dai bei colori, seppur riveli tracce di nasalità nella salita all’acuto. Alfredo narcisista il suo, più interessato a se stesso che all’amata, ma nel complesso credibile. Non lo è invece Elia Fabbian, Germont spaesato, giocato tutto sull’acuto stentoreo. Inamidato nel completo grigio, il baritono accenna movimenti minimi e svogliati che non restituiscono appieno il personaggio. Bene si disimpegnano Armando Gabba (Douphol), William Corrò (d’Obigny) e Mattia Denti (Grenvil). Afona la Flora di Elisabetta Martorana. Meno sfiatata del solito l’Annina di Sabrina Vianello, mentre rimane dimenticabile Gastone quello di Iorio Zennaro.

Di rilievo la prestazione del Coro, più convincente rispetto a occasioni passate.

Applausi convinti per tutti alla recita del 7 febbraio, in primis per Dotto che esce a raccogliere gli onori al termine del terzo atto, riprendendoseli di nuovo alla fine della passerella. Consensi calorosi pure per Rustioni, Lippi e Fabbian.

Luca Benvenuti


La Traviata
Melodramma in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma La Dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio.
Personaggi e interpreti (primo cast):
Violetta Valéry: Francesca Dotto
Alfredo Germont: Matteo Lippi
Giorgio Germont: Elia Fabbian
Flora Bervoix: Elisabetta Martorana
Annina: Sabrina Vianello
Gastone: Iorio Zennaro
Il barone Douphol: Armando Gabba
Il dottor Grenvil: Mattia Denti
Il marchese d’Obigny: William Corrò

Maestro concertatore e direttore: Daniele Rustioni
Regia: Robert Carsen
Scene e costumi: Patrick Kinmonth
Light designer: Robert Carsen e Peter Van Praet

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro: Claudio Marino Moretti

Allestimento Teatro La Fenice

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