Cortona,
Teatro Signorelli. Martedì 16 febbraio 2016
Rimasto al verde, affamato e
demoralizzato, Pippo accetta di far da servitore all’ambiguo Rocco, che lo
ingaggia credendolo un valido uomo di fatica; se si può arrotondare, però, è
pure meglio, perciò Pippo accetta di servire, contemporaneamente al primo, un
secondo padrone: Ludovico. Peccato che Rocco sia in realtà morto, e che sotto i
suoi panni si celi la sorella gemella Rachele, fidanzata di Ludovico, che,
guarda caso, è l’uomo che ha ucciso Rocco in un duello… Come se tutto ciò non
bastasse, il buon Pippo, che non brilla certo per precisione e arguzia,
comincia a far confusione con le varie commissioni che i due padroni gli
affidano…
Il grande successo in Inghilterra
dello spettacolo One man, two guvnors,
adattamento de Il servitore di due
padroni di Goldoni realizzato da Richard Bean, ha spinto Pierfrancesco
Favino e Paolo Sassanelli a “riportare” la commedia goldoniana in Italia,
traducendo e riadattando –insieme a Marit Nissen e Simonetta Solder- l’opera di
Bean (l’azione si sposta dalla Brighton degli anni ’60 alla Rimini felliniana -quella
di Amarcord- del 1936). Tutto ciò, in
vista di un obiettivo ben preciso: realizzare uno spettacolo che coniugasse lo
spirito di Goldoni con quello del varietà novecentesco, per ottenere un mix di
comicità e musica con una “spruzzatina” di ballo. Un progetto ambizioso che ha
coinvolto un grande numero di persone, tra attori, musicisti e tecnici, e che
ha comportato un lungo percorso preparatorio. Questo vale specialmente per gli
attori, che hanno dovuto immergesi nel mondo della commedia dell’arte (dove si recita improvvisando a partire da un
esile canovaccio, senza un vero e proprio copione) frequentando “corsi
intensivi” vari (seminari di acrobatica, clown e maschera) oltre a lezioni di
canto e ballo, come racconta Paolo Sassanelli nel libretto di presentazione
dello spettacolo: mesi e mesi di studio, esperimenti, prove, difficoltà,
ripensamenti…
Il risultato finale, a mio giudizio,
premia solo in parte le intenzioni e i sogni della coppia Favino/Sassanelli:
pregi e difetti se la giocano alla pari, neutralizzandosi a vicenda.
Cominciando dagli aspetti positivi,
non posso non elogiare la libertà e la ricchezza d’inventiva con cui gli autori
riescono a non prendersi sul serio e a smontare di continuo la storia con
trovate assurde e sgangheratissime. Si tratta di brusche “deviazioni di
percorso”, in cui realtà e finzione sembrano mescolarsi attraverso (finti) colpi
di scena, (finti) imprevisti sul palco e (finte, meno una) interazioni col pubblico,
che ravvivano il ritmo creando momenti di autentico stupore (come “l’incidente”
in chiusura del primo atto) o di grande ilarità (la tragicomica partecipazione
della signora “pescata” in platea).
Davvero bravissimi, poi, i quattro
pazzoidi e funambolici “suonatori” del gruppo Musica da ripostiglio, capaci di
restituire alla perfezione, amplificandolo, il clima demenziale -con non rare
incursioni nel nonsense- dello
spettacolo con i loro divertenti numeri da avanspettacolo sulle note delle
canzoni italiane anni ’30 (impagabile il brano suonato “al rallentatore” con, in più, effetti da “disco rotto
che s’impunta”!). Buoni anche i numeri musicali e le coreografie degli attori,
che nel complesso riescono a tenere in piedi un carrozzone colorato e chiassoso
che sembra sempre sul punto di deragliare da un momento all’altro ma che,
invece, riesce a tenere la rotta anche nei momenti più caotici.
Le note dolenti, in qualche modo,
rappresentano il rovescio della medaglia di alcuni punti forti dello
spettacolo. La demenzialità della sceneggiatura (nel secondo atto ancor più
marcata che nel primo), per esempio, strappa risate ma mostra anche una certa
inconsistenza di fondo, che l’eccessiva lunghezza della rappresentazione (2 ore
e tre quarti circa) mette ancor più in evidenza: il meccanismo diventa
ripetitivo, e alla fine di questa maratona, a tratti faticosa, si ha
l’impressione di aver assistito a un gioco tirato un po’ troppo per le lunghe.
L’eccentrico allestimento, pieno di variazioni di ritmo, è senz’altro piacevole,
e mette in mostra l’affiatamento della compagnia e la precisione degli
automatismi di scena, ma in alcuni momenti diventa a dir poco frastornante,
favorendo cali di attenzione e rendendo difficile seguire la storia.
Che dire, poi, dei finti –ma
credibilissimi!- siparietti comici di Favino col pubblico, e degli altrettanto
finti imprevisti sul palco? Queste trovate provocano un duplice effetto
indesiderato: 1) distolgono gli spettatori (almeno, a me è successo…) dalla
vicenda principale, risultando decisamente più interessanti e coinvolgenti di
quest’ultima (e non è un buon segno…); 2) provocano, una volta scoperta la loro
natura “artificiale”, non poca delusione, sia per quanto riguarda le presunte capacità
d’improvvisazione di Favino che gli effetti comici “involontari” innescati
dalla povera spettatrice (in realtà, un’attrice del gruppo) coinvolta suo malgrado.
Se ciò cui ho assistito fosse stato vero, avrei potuto raccontare di momenti di
alta comicità e di un Favino straordinario sia nel prendere immediatamente
confidenza col pubblico che nel ricavare battute scoppiettanti improvvisando
genialmente sugli imprevisti -come nel caso del surreale intermezzo sulle
“BARRETTE FITNESS” (sic), cibo che
uno zelante e generoso spettatore (fasullo) ha offerto al perennemente affamato
Pippo, dopo che questi si è rivolto al pubblico chiedendo qualcosa da mangiare.
Poiché si tratta, invece, di una messinscena pianificata a tavolino, anziché un
omaggio alla commedia dell’arte e al
suo spirito d’improvvisazione la cosa assume i contorni di una bella presa per i
fondelli ai danni degli spettatori, con i quali gli autori, che evidentemente
conoscono molto bene la psicologia umana, giocano al gatto col topo (riuscendo
a fregarne molti, me compreso…). Peccato: se il prestigiatore svela il trucco,
finisce l’incanto… Restando su Pierfrancesco Favino, uno dei migliori attori
del cinema italiano contemporaneo e quindi la principale attrazione dello
spettacolo, ho trovato la sua recitazione un po’ troppo sopra le righe: il suo
Pippo/Arlecchino gigione e tontolone appare piuttosto forzato, ed è messo in
ombra dal Favino mattatore negli intermezzi “realistici” di cui sopra. Chissà
se Goldoni avrebbe apprezzato…
Francesco
Vignaroli
Adattamento
da One man, two guvnors di Richard Bean, tratto da Il servitore di due padroni
di Carlo Goldoni
Regia:
Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli
Con:
Pierfrancesco Favino, Paolo Sassanelli, Luciano Scarpa, Thomas Trabacchi, Anna
Ferzetti, Eleonora Russo e altri, e con la partecipazione del gruppo Musica da
ripostiglio: Luca Pirozzi (voce, chitarra e banjo), Luca Giacomelli (chitarra e
voce), Raffaele Toninelli (contrabbasso e voce), Emanuele Pellegrini
(percussioni e voce)
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