Roma, Teatro Brancaccino.
Dall’11 al 14 e il 18 e il 19 febbraio 2016
Assistendo ad Un uomo a metà, in scena al Teatro
Brancaccino dall’11 febbraio, non si fa fatica a comprendere i motivi per cui
lo spettacolo ha vinto il Napoli Fringe Festival 2015. Quanto talento c’è nel
teatro italiano e quanto difficile, paradossalmente, è la via per farsi
conoscere ed apprezzare. Onore al merito quindi, innanzi tutto, agli spazi che
ospitano nuova drammaturgia. “Un uomo a metà” è sì la storia di un uomo come
tanti, tale Giuseppe Rossi, ma è anche un’affilata analisi, un taglio di luce
sinistro sulla difficoltà di essere se stessi, ancor più torvo se, una volta
tolto il coperchio, si scopre che quell’essenza compressa, in fin dei conti,
non è tutto questo splendore.
Se è vero, come dice il personaggio, interpretato straordinariamente da Gianluca Cesale, che nel mezzo c’è la mediocrità e non la virtù, l’epilogo della sua storia non è assolutamente consolatorio, anzi. Il teatro è l’arte del racconto, e questo spettacolo, che inizia quasi enigmaticamente, ha uno slancio narrativo che cattura anche il più distratto tra gli spettatori, grazie ad una regia brillante ma soprattutto grazie a Cesale, che in scena è capace di riempire totalmente lo spazio con la sua mimica eccezionale e con una recitazione che varia repentinamente registro. Ironico, drammatico, quasi comico, poi inquietante. Una grande prova d’attore. Il personaggio si svela pian piano. Rappresentante di articoli religiosi, famiglia modesta alle spalle, si fidanza con la figlia del padrone del più grande negozio romano di souvenir e oggettistica ecclesiale. Una svolta, sembra. Ma l’uomo ha un problema, non riesce ad avere rapporti con la “sua” donna. Anche lei “a metà strada”, una via di mezzo come lui. Ci prova, non si capacita, sperimenta altre vie, senza risultato. Sarà nella notte del temuto addio al celibato, accompagnato dai vecchi compagni di squadra (che videro sfiorire il suo sogno di calciatore per un grave incidente diversi anni prima), che capirà di non essere quell’uomo sessualmente impotente che pensava, ma proprio da quel momento si svela la vera natura di Giuseppe Rossi. Ma anche quella di chi sta per sposare. Una vita compressa tra alibi di ogni tipo, rompe ogni freno e, si sa, con i freni rotti il viaggio è molto pericoloso. Il finale, costruito ad arte, farà capire il senso delle prime parole pronunciate dall’uomo: “non è vero che si muore sul colpo”. Un epilogo noir che lascia di stucco. Come l’intero impianto drammaturgico (di Giampaolo G. Rugo), il sapiente uso delle luci, la scena minimalista (di Francesca Cannavò) e la regia di Roberto Bonaventura. Poco più di un’ora, per raccontare un’intera vita, la caducità dei sogni e l’ipocrisia che ci circonda, di cui siamo parte integrante. Magistrale, amarissimo, dalle mille sfumature. Da vedere e rivedere.
Se è vero, come dice il personaggio, interpretato straordinariamente da Gianluca Cesale, che nel mezzo c’è la mediocrità e non la virtù, l’epilogo della sua storia non è assolutamente consolatorio, anzi. Il teatro è l’arte del racconto, e questo spettacolo, che inizia quasi enigmaticamente, ha uno slancio narrativo che cattura anche il più distratto tra gli spettatori, grazie ad una regia brillante ma soprattutto grazie a Cesale, che in scena è capace di riempire totalmente lo spazio con la sua mimica eccezionale e con una recitazione che varia repentinamente registro. Ironico, drammatico, quasi comico, poi inquietante. Una grande prova d’attore. Il personaggio si svela pian piano. Rappresentante di articoli religiosi, famiglia modesta alle spalle, si fidanza con la figlia del padrone del più grande negozio romano di souvenir e oggettistica ecclesiale. Una svolta, sembra. Ma l’uomo ha un problema, non riesce ad avere rapporti con la “sua” donna. Anche lei “a metà strada”, una via di mezzo come lui. Ci prova, non si capacita, sperimenta altre vie, senza risultato. Sarà nella notte del temuto addio al celibato, accompagnato dai vecchi compagni di squadra (che videro sfiorire il suo sogno di calciatore per un grave incidente diversi anni prima), che capirà di non essere quell’uomo sessualmente impotente che pensava, ma proprio da quel momento si svela la vera natura di Giuseppe Rossi. Ma anche quella di chi sta per sposare. Una vita compressa tra alibi di ogni tipo, rompe ogni freno e, si sa, con i freni rotti il viaggio è molto pericoloso. Il finale, costruito ad arte, farà capire il senso delle prime parole pronunciate dall’uomo: “non è vero che si muore sul colpo”. Un epilogo noir che lascia di stucco. Come l’intero impianto drammaturgico (di Giampaolo G. Rugo), il sapiente uso delle luci, la scena minimalista (di Francesca Cannavò) e la regia di Roberto Bonaventura. Poco più di un’ora, per raccontare un’intera vita, la caducità dei sogni e l’ipocrisia che ci circonda, di cui siamo parte integrante. Magistrale, amarissimo, dalle mille sfumature. Da vedere e rivedere.
Paolo
Leone
Produzione Castello di
Sancio Panza e Fondazione Campania dei Festival presentano:
Un uomo a metà, di Giampaolo
G. Rugo. Con Gianluca Cesale. Regia di Roberto Bonaventura. Scene e costumi di
Francesca Cannavò; Amministrazione Marilisa Busà; foto di scena di Giuseppe
Contarini. Spettacolo vincitore del Napoli Fringe Festival 2015
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